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IL VERO CONTROLLO E’ L’AUTOCONTROLLO

Due chiacchiere con un mio vecchio amico del liceo, Salvatore, dirigente della Polizia di Stato in quiescenza. E’ tuttora fiero del suo lavoro, che rimpiange sinceramente. Gli ho chiesto per curiosità se si riconosce nelle tante serie televisive e nei tanti film che raccontano in forma spesso romanzata le vicende della varie squadre anticrimine. Fino a un certo punto, mi risponde, e il motivo è che spesso, per ragioni di sceneggiatura, si accentua il coinvolgimento personale del poliziotto, il suo accanimento nei confronti del criminale. Al contrario, nella realtà, quanto più si rimane neutri e distaccati tanto più efficace sarà l’azione punitiva o deterrente.
L’aspetto di Salvatore è bonario, rassicurante, per niente aggressivo. Si dirà: ormai è un ex commissario, ha deposto le armi. Oppure sta parlando con una signora, non può che mostrarsi pacato e cortese. Ho tuttavia ragione di credere che avrà avuto il medesimo aspetto sempre o quasi sempre, anche nei confronti di esponenti mafiosi, teppisti travestiti da tifosi, trafficanti di droga, facinorosi vari. I nervi saldi dovrebbero essere l’attrezzatura fondamentale in dotazione al poliziotto, mentre invece avviene spesso che molti dei suoi colleghi si lascino prendere la mano. Gli chiedo se a suo parere ciò avviene per temperamento (per il pregiudizio diffuso che chi si arruola in polizia è uno col complesso del giustiziere, e dunque con metodi potenzialmente simili a quelli del criminale, anche se praticati dal lato opposto della barricata) o al contrario per assimilazione, ovvero perché il poliziotto più mite, a contatto con certi soggetti spesso violenti, è portato alla fine a uniformarsi. Forse per entrambe le ragioni, mi risponde il commissario.
Questi nervi saldi devono averlo portato , durante la sua carriera, a fronteggiare i peggiori soggetti, a guidare le più complesse indagini con lo stesso disincanto del buon sacerdote che ricorda di dover correggere il peccato e mai il peccatore.
In alcuni periodi della nostra storia (per esempio la prima fase della contestazione giovanile) gli agenti di polizia sono stati spesso additati come il braccio violento della legge, servi del potere etc. Solo qualche illuminato (tra cui lo stesso Pasolini) vide nei poveri ragazzi che facevano le cariche contro i manifestanti più agguerriti, i veri rappresentanti di quel proletariato per cui quei violenti pretendevano di manifestare, e che rischiavano quotidianamente la vita per la sicurezza della gente. Le forze dell’ordine dovrebbero rappresentare la difesa del cittadino, il volto amico dello stato accanto alla gente comune, trasmettere la fiducia in una protezione sicura: forse anche per questo fu decisa la demilitarizzazione del corpo di polizia negli anni ottanta. Ma i pregiudizi permangono. Eppure, è proprio sui nervi saldi del vero tutore dell’ordine che si regge, o dovrebbe reggersi, l’equilibrio della pubblica opinione. Il commissario mi racconta di quando, durante una manifestazione sportiva allo Stadio Flaminio, nella tensione di scontri fra tifoserie, che si annunciavano piuttosto violenti, lui si limitò a passeggiare tranquillo avanti e indietro all’entrata, fumando un sigaro. Alle obiezioni dei colleghi, che al contrario non si sarebbero dati pensiero di mostrarsi superoperativi in aperta tensione, sbracciandosi in tutte le direzioni e urlando a raffica ordini e contrordini, rispose che, a dispetto di quella sua apparenza svagata, c’era tutta la consapevolezza, la vigilanza, il calcolo delle previsioni , la valutazione delle ipotesi e delle possibili conseguenze di qualsiasi decisione più o meno emotiva.
Proteggere, tranquillizzare, educare, vigilare, reprimere sono azioni che richiedono controllo e soprattutto autocontrollo. Dovrebbero ricordarselo non solo i colleghi del mio vecchio amico, ma anche genitori, maestri, educatori, capitani d’industria, capi ufficio, leader di partito, capi di stato… Per mantenere la calma, ci vuole calma, e forse perfino compassione –ma questo il commissario non me lo ha confessato, eppure io penso che l’indagine più complessa e delicata che abbia mai compiuto nei suoi lunghi anni di carriera sia stata proprio quella alla ricerca delle ragioni del male, dei perché di certe scelte disgraziate- . Non ci badiamo mai, ma il fatto di indossare una divisa o avere un’arma in fondina richiede esattamente questa sensibilità, non una brutale, pretestuosa autorità. Le vere armi degli agenti di polizia rimangono la freddezza, la lucidità, la comprensione delle persone. Pensiamoci, quando li vediamo fare cordone in manifestazioni a rischio di incidenti, o girare in pattuglia a bordo delle loro gazzelle e delle loro volanti. Non sono soltanto un muro “umano” tra noi e i potenziali facinorosi, attentatori, rapinatori etc. Rappresentano la razionalità di tutti noi. Grazie, commissario. Salvatore di nome e di fatto. Grazie, poliziotti.

 

11 febbraio 2023

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