Per ascoltare invece di leggere:
Quando ero bambina mi sentivo in soggezione di fronte agli adulti. Ora che sono adulta, mi sento in imbarazzo di fronte ai bambini. Succede a tutti.
Da piccola, non sapevo come pormi di fronte a una particolare categoria di adulti, che in fondo erano “poco” adulti in assoluto (forse una decina d’anni più dei miei undici o dodici) ma che lo erano moltissimo in confronto a me, soprattutto in forza del messaggio dirompente che veicolavano: i contestatori, i capelloni, i rappresentanti della beat generation, i gruppettari, quelli che andavano in corteo, i potenziali futuri terroristi erano per me il richiamo del mondo là fuori che mi spaventava e insieme mi seduceva. Sirene di un futuro irrealizzabile, per gli irrequieti giovani – che agivano, parlavano, contestavano come se essere giovani fosse un merito – io ero invisibile, e se mi gettavano per caso uno sguardo, lo facevano con un misto di disprezzo e compassione, ovvero con quei sentimenti dovuti a un’ameba, quali in effetti siamo, in quell’età sospesa tra l’infanzia e l’adolescenza. Particolarità della mia generazione, essere stata troppo giovane per scendere in piazza e già troppo vecchia per credere che sarebbe servito a qualcosa o per non essere in grado di travestire la paura di disincanto, come una precoce volpe con l’uva. Di qui il mio motivato imbarazzo di allora verso quei fratelli maggiori sognatori arrabbiati e la conseguente solitudine generazionale nei loro riguardi, molto più dolorosa e acuta della tradizionale incomunicabilità con i “vecchi” genitori.
Non è finita qui, neppure adesso che sono vecchia io e i vecchi giovani di allora sono ormai rugosi e traballanti come mio nonno. (Avete visto come si è ridotto Mick Jagger? E Patti Smith? ) Oggi sono i bambini e i giovanissimi a imbarazzarmi. Non trovo mai la misura giusta per rivolgermi a loro, sentendoli comunque persi nel loro irraggiungibile pianeta, da dove tutti noi dobbiamo apparire ai loro occhi fantasmi incomprensibili e anche un po’ penosi nello sforzo di renderci accattivanti, divertenti, smart, insomma di farci accettare nonostante le nostre venerande età.
E così siamo sempre allo stesso punto: le età dell’uomo si ritrovano reciprocamente incomprensibili le une alle altre. Da vecchi dimentichiamo di essere stati bambini e che cosa significano il disorientamento, la paura, l’innocenza… Da bambini, tutto ciò che accade sopra le nostre teste ci appare lontano come Marte, irraggiungibile e strano.
Ma c’è un punto in cui le strade divergenti convergono. Evidentemente, lo scandalo universale è proprio la giovinezza, o per meglio dire quella energia vitale dell’età di mezzo, che un bambino vede in un adulto (anche non troppo adulto, quale può essere appunto un fratello maggiore), e che un vecchio vede in un ragazzo. Quel tempo che non può essere ancora… finisce per essere lo stesso tempo che già non è più: terra di nessuno in cui le generazioni si sfiorano senza incontrarsi mai, come forse però è giusto che sia. Nel vortice delle trasformazioni precipitose del nostro tempo la giovinezza è la drammatica conferma non solo di ciò che dilegua in un batter d’occhio, ma anche della nostra perpetua insoddisfazione, della nostra affannosa certezza di trovarci sempre nel posto sbagliato.
27 marzo 2025