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IN CERCA DI MERAVIGLIA

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Una lezione di storia dell’arte… a teatro. Vi ho assistito mercoledi scorso 8 maggio, insieme alla mia amica Eliana Astorri.  Al Ghione, teatro romano vicino alla Città del Vaticano, è andato in scena MI -RA bili! Scritto, diretto ed interpretato da Mirko Baldassarre. Storico dell’arte, abituato a far conoscere le bellezze artistiche che ci circondano e di cui spesso siamo del tutto inconsapevoli, Baldassarre ha vestito per un paio d’ore i panni di un inedito professore, che invece della cattedra ha usato il palcoscenico, invece di statiche diapositive ha offerto alla sua “classe” accattivanti filmati sapientemente montati e  musicati. Lo scopo era raccontare due grandi geni del nostro Rinascimento, Michelangelo e Raffaello (MI -RA bili!) che, come ha esordito “il professore”, non potevano essere più diversi: solitario, insofferente e bisbetico l’uno, empatico, amabile, salottiero l’altro. Cupe, terrigne, vibranti di passioni represse le opere dell’uno, soavissime, leggiadre, celestiali le pitture dell’altro.

Oggi il teatro è così: trasversale e multimediale. E’ una necessità di sopravvivenza. Attraversa esperienze diverse, cerca contaminazioni (a volte le provoca), si vende in un certo senso “al miglior offerente” (in questo caso la storia dell’arte), generando performances insolite, più o meno originali. Insomma il teatro non basta più al teatro: testi classici, inscenati classicamente, non bastano più a entusiasmare le platee, anzi spesso le annoiano. Come ci hanno ben spiegato gli esperti di scienze cognitive, l’uso e l’abuso della televisione prima, di internet e dei social media adesso, hanno fatto precipitare il livello medio di attenzione di tutti noi. Seguire una commedia o un dramma per due ore consecutive – Goldoni? Ionesco? Pirandello? Brecht? – senza addormentarsi non è facile. Chi si avventura a mettere in scena certi “monumenti” della storia del teatro deve puntare all’ingaggio di noti interpreti, per sperare di poter coinvolgere pubblico, il quale generalmente va a vedere lo spettacolo perché è un must, per poter parlarne in certi ambienti, perché appunto c’è quel noto attore etc. Ma sul piano produttivo, questo è chiaramente un meccanismo perdente, che si basa su vecchie dinamiche ormai inattuali e su proposte il più delle volte ripetitive. Ecco dunque che purtroppo a ragione i teatri stabili chiudono o illanguidiscono, mentre l’offerta tenta di adeguarsi alle mutate esigenze del pubblico, attraverso il proliferare di piccoli teatri animati da giovani compagnie, che cercano di assecondare i gusti e le esigenze della gente, in cerca di inevitabili contaminazioni.

Ben vengano allora gli esperimenti come quello proposto da Mirko Baldassarre, che cercano di dare ossigeno e stimoli nuovi a chi siede sulle polverose poltrone rosse o nei tradizionali palchetti. Di qui un altro pensiero: così come al teatro non basta più il teatro, così il teatro -intenso come spettacolo, o meglio spettacolarizzazione– sembra ormai contaminare ogni cosa. A tutti noi manca un palcoscenico.

Perfino Raffaello e Michelangelo devono essere portati sotto i riflettori per brillare come meritano. Singolare inversione di ruoli: al tempo loro Michelangelo e Raffaello erano i riflettori. Erano loro il teatro. I loro capolavori erano la rappresentazione dipinta o scolpita della storia sacra. Adesso è necessario inscenare una rappresentazione della loro rappresentazione. E lo si fa ricorrendo al rito vetusto – forse sarebbe più onesto dire “eterno”- gioco della scena: un sipario che si apre, un attore -o facente funzione-, una scenografia ( o una non-scenografia), delle luci, dei filmati, della musica, un racconto, gli applausi…

Per quanto la gente non vada più a teatro, come lamentano tutti gli operatori del settore, il suo rituale, la sua dialettica verità/finzione ci manca, tanto da sentirci portati a spettacolarizzare ogni cosa. La tivù spazzatura ci ha insegnato ad accendere telecamere e spot sul meglio e sul peggio delle nostre vite. Perché non dovrebbero finire nello stesso ingranaggio, opportunamente corretto, anche le opere d’arte? In fondo, anche le opere d’arte si sono desacralizzate, esattamente come i testi teatrali di cento anni fa. In questo naufragio di cultura e pensiero, le contaminazioni sono come braccia che si cercano per restare a galla. Nel generale “si salvi chi può” è giusto trascinare Michelangelo via dalla Sistina e Raffaello fuori dalle sue stanze. Quest’ultimo ne avrebbe goduto, l’altro forse avrebbe smaniato e si sarebbe rintanato in qualche camerino.

Il “professor” Baldassarre e altri come lui possono comunque rallegrarsi del fatto che il nostro tempo così “liquido” mescoli disinvoltamente -forse anche disperatamente- arti e linguaggi diversi alla ricerca di un senso, di una parola definitva. Quello che in altri tempi poteva apparire confusione o superficialità, oggi è una pioggia benedetta di stimoli sotto la quale noi, pubblico spesso tiepido e disamorato, abituato a tutto, nel bene e nel male, ci lasciamo risvegliare con meraviglia. Sì, quella stessa meraviglia di un tempo, quella che sgorgava pura e autentica, davanti ai capolavori, d’arte o teatrali, mi-ra bili!

 

11 maggio 2024

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