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LA FELICITA’ DI STATO NON ESISTE

Per ascoltare invece di leggere:

Il non troppo clamore con il quale è passata la notizia la dice lunga. I sostenitori del suicidio assistito hanno raggiunto il sospirato obiettivo: circa un mese fa il servizio sanitario nazionale ha fornito a una 55enne triestina malata di sclerosi multipla farmaci e strumentazione necessari per togliersi la vita. Il suicidio di stato sembra non aver provocato però quella soddisfazione che le tante lotte in questa direzione avrebbero fatto presagire. ?Che l’ineliminabile “sottofondo” di bigottismo cattolico contro cui tanto ha inveito l’associazione Luca Coscioni e compagni abbia colpito alla fine gli stessi attivisti?  …?Tanto da risvegliare in tutti loro un vago senso di colpa che ha finito per spegnere quella che avrebbe potuto manifestarsi come una meritata esultanza ? Non mi illuderei. Forse sono piuttosto le fonti di informazione tradizionali che hanno spento la notizia, in forza -si dice- di quel resistente, aleggiante bigottismo di cui sopra. Infatti sul sito della associazione Luca Coscioni campeggia il titolo: “Anna ora è libera ma altri rischiano di non esserlo”.

Della serie: come non essere mai contenti.

Il titolo tradisce -oltre a questa insaziabile voglia di imporre una precisa ideologia- quel vizio di forma che continua e continuerà ad opporre sostenitori e oppositori del suicidio di stato: la presunzione che la libertà sia un diritto assoluto che riguardi tutti gli aspetti della vita umana, inclusa la sua fine. Perché allora, per par condicio, non dovrebbe poter riguardare anche il suo inizio? Perché non dovremmo essere liberi di decidere di non nascere? Perché limitarsi a discutere sull’aborto dal punto di vista della madre e non anche del feto? La domanda è ovviamente una provocazione.

Ma ne aggiungo un’altra. Se addebitiamo a quelle radici cattoliche le retrograde resistenze a questo gran passo di civiltà, dovremmo anche ricordarci che per la cultura cattolica la vita sì è un dono, ma la morte è preludio a una vita migliore. La smania di sostenere istituzionalmente chi vuole suicidarsi passando subito a questa vita migliore, priva di sofferenze, forse è a sua volta erede della strisciante cultura cattolica, intrisa di teleologia e tanto vituperata. Che i disinvolti sostenitori del suicidio assistito avessero più cose in comune con santi e martiri di quanto non credano?

L’argomento non permette ironia, evidentemente. Ma raccapriccio sì. E il raccapriccio non riguarda tanto la violazione della sacralità della vita, secondo quanto predica appunto la Chiesa, ma la pretesa di istituzionalizzare un atto così delicato, privato, sacro e intoccabile come la scelta di morire. Che lo Stato debba entrare, possa entrare, negli affari della mia coscienza non mi aggiunge libertà, semmai me la toglie. La morte non ha bisogno di diventare un diritto, dato che moriremo tutti comunque. Quanto al diritto di abbreviare le sofferenze, di decidere quando abbreviarle, di questo passo si arriverà a pretendere il diritto, indiscutibile e universale alla felicità. Ma teniamolo a mente: chi un giorno se ne uscisse con questo programma elettorale dovrà essere riconosciuto come un impostore.

 

19 dicembre 2023

 

 

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