Ospito oggi 9 ottobre 2022, queste riflessioni della mia amica Luciana Piddiu, datate ottobre 2007, trovandole di impressionante attualità
Il corpo delle donne, orgiasticamente esposto e ferocemente denudato, o sapientemente coperto e occultato in una stupefacente
varieta’ di tra-vestimenti, dall’hijab al burqa passando per niqab e chador, e’ diventato in questi anni terreno di battaglia materiale e simbolico. Attraverso i corpi delle donne si gioca la sfida tra l’impero d’Occidente, per usare la terminologia cara a Chalmers Johnson, e il progetto -nato dal movimento dei Fratelli musulmani in Egitto negli anni ’30, ma ormai diffuso per ogni dove- di un dominio altro che finalmente realizzi e incarni la sospirata rivincita. I piu’ lo chiamano terrorismo. Scambiando i mezzi con il fine, utilizzano maldestramente le parole e cosi’ confondono le acque. Non si vuole cogliere il dato nudo e crudo che si tratta di un tentativo ambizioso di “Risorgimento” di quel vasto mondo a lungo umiliato ed escluso che dice di ispirarsi all’Islam e che oggi si candida ad esercitare la leadership sul piano mondiale.Del resto ha mezzi, strategie, progetto e passione.
La posta in gioco e’ alta e ci tocca da vicino. Noi che abbiamo avuto qui, in questa parte di mondo, l’opportunita’ storica di pensare e agire la nostra liberta’, troppo spesso ci lanciamo in prese di posizione disarmanti per la loro superficialita’. Mi chiedo spesso da che parte vogliamo stare. Se dalla parte di quelle donne che laggiu’ e qua cercano faticosamente di liberarsi della tutela maschile, di esistere come persone, a rischio della propria vita, come dimostra la vicenda umana di Hina, fatta fuori all’unanimita’ dal clan familiare, nella nostra accogliente Italia
oppure dall’altra parte. Non dimentichiamo che anche nella liberale e tollerante Inghilterra e’ in costante aumento il numero delle donne
battute e talvolta ammazzate da mariti, padri o fratelli perche’ tentano di sottrarsi alla tradizione che le vuole murate in casa e
invisibili agli occhi del mondo nello spazio pubblico che e’ loro interdetto. Molti dicono che non dobbiamo fare come i nostri cugini
francesi, che hanno vietato l’uso del velo nella scuola pubblica, dopo anni di accesi dibattiti e riflessioni. La Francia ,secondo questo
punto di vista, avrebbe agito come un patriarcato di Stato, vietando il velo a chi lo vorrebbe “spontaneamente” indossare. Ma non si
considera mai abbastanza che il numero delle allieve sottratte al sistema dell’istruzione pubblica, dopo l’entrata in vigore del
provvedimento, e’ irrisorio, come ha onestamente riconosciuto Giuliana Sgrena. Che fare dunque?
Suggerirei di seguire senza esitazione il parere autorevole di chi nel mondo istituzionale (mi riferisco alla recente presa di posizione di
un prefetto della Repubblica) propone il ‘”libero burqa in libero Stato”. Formula che dietro l’apparente assunzione del relativismo
culturale con tutto il suo appeal di modernita’, nasconde in realta’ il disprezzo delle altre culture.E la sentenza recente di un giudice
tedesco nei confronti di uno stupratore di origine sarda ne e’ la prova.
Mi chiedo perche’ non abbiamo l’umilta’ di ascoltare la voce di chi, a partire da se’ e dalla propria esperienza di bambina prima e di
donna velata poi, ha qualcosa da insegnarci. Queste donne in assoluta solitudine e spesso a rischio della propria sopravvivenza
portano avanti le loro convinzioni. E noi sorde. Parlo di Chahdortt Djavann, di Ayaan Hirsi Ali, della giovane Malalai Joya costretta a nascondersi notte dopo notte in una casa diversa. Ma moltre altre si potrebbero citare.Vorrei con questa lettera ricordare a tutte noi che non abbiamo il diritto di togliere loro la parola sostituendoci ad esse nel dare giudizi e indicazioni categoriche.
“Ma che cos’e’ questo portare il velo? abitare un corpo velato? Che significa essere condannate ad essere rinchiuse in un corpo velato
perche’ corpo di sesso femminile? Perche’ velare le ragazze e solo le ragazze? Perche’ nascondere i loro corpi e i loro capelli? Chi ha il diritto di parlare? Ho portato il velo dieci anni. Era il velo o la morte. So di cosa parlo.” Ch.D.
Luciana Piddiu, Ferney Voltaire, 23 Ottobre 2007