Impossibile non notare la triste successione: Mihailovic, Pelè, Vialli. Tre campioni in meno di un mese col cartellino rosso definitivo. Fuori per sempre, anche se non avevano commesso fallo. Non so di calcio, come tante donne, ma so perché il calcio appassiona e so perché con tanta facilità si creano miti e leggende in quel rettangolo verde. Certamente perché il calcio, come lo sport in genere, è maestro di vita, ma anche e soprattutto perché per novanta minuti riesce a farci credere che anche la vita sia un gioco.
Ciascuno di questi campioni ha dovuto sudare, ciascuno a suo modo, non solo correndo dietro a un pallone. Prima lezione: nulla si ottiene senza fatica.
Ciascuno di loro ha portato dentro il proprio mestiere il meglio che aveva – che spesso consiste nel superare il peggio, le condizioni più sfavorevoli. Seconda lezione: nonostante le apparenze, è proprio la vittoria sulla forza di gravità che permette agli aerei di volare.
Ciascuno di loro, per brillare, ha contato su una squadra, anzi in certo qual modo ha creato la propria squadra. Terza lezione: nessuno vince da solo.
Ciascuno di loro è stato temuto ma anche immensamente rispettato dagli avversari. Quarta lezione: generosità e lealtà non si misurano nei confronti di chi è comunque dalla tua parte –questo riesce a tutti- ma soprattutto nei confronti di chi ti gioca contro.
Per tutto questo e per molto altro, come spesso accade per le rockstar o gli influencer, ciascuno di loro ha esercitato un enorme fascino sulle tifoserie e non solo. Particolarmente chi tira calci a un pallone ha più possibilità di diventare un punto di riferimento, di testimoniare valori superiori, nonostante il decadimento etico che negli ultimi anni abbiamo dovuto purtroppo riscontare nel mondo del calcio. Dalle loro vicende personali, dai loro successi in campo proviene comunque una testimonianza amplificata sul senso ella vita, valido per tutti, appassionati e non. Qualunque cosa dicano, o facciano, diventa un messaggio in bottiglia destinato a varcare oceani. E’ come se, semplicemente entrando in rete, il loro pallone riuscisse a portarsi dietro le energie e le speranze di tutti, come se quell’effimero successo di un goal replicasse ogni volta l’illusione potente e liberatoria di poter vincere tutti i nostri limiti e le nostre frustrazioni, a cominciare dal limite per eccellenza, quello fra la vita e la morte.
Poi anche i campioni muoiono, in qualche modo. E allora ti accorgi che davvero nel calcio c’è tutto: c’è il gruppo ma anche la tragedia personale, c’è l’entusiasmo della vittoria ma anche la dignità di come si affronta la sconfitta, c’è il sì e anche il no, il dentro e il fuori, l’eleganza e anche la volgarità e la violenza… E allora ti accorgi che non a caso il pallone è rotondo, una sfera perfetta, e che proprio grazie a quella sua perfezione tutti possono permettersi di prenderlo a calci: esattamente come vorresti fare del destino, che comunque rotola per fatti suoi e va dove deve andare. In rete oppure no. Entro le righe o spudoratamente fuori: va come deve andare. E allora forse la morte del campione la accetti con più docilità. E impari di conseguenza a sentirti un po’ campione anche tu. “Accorci le distanze”, come titola il romanzo del mio amico Giampiero Guadagni. Va come deve andare.
E allora per tutto questo (e per molto altro) grazie a Pelè, grazie a Mihailovic, grazie a Vialli.
7 gennaio 2023
Marcello Lazzerini
Bellissima descrizione della filosofia del calcio e della sua essenza, giocato da operai del pallone e da grandi artisti, potrei aggiungere che come fenomeno sociale e’ anche strumento di emancipazione e di riscatto sia personale che collettivo e sociale, di paesi e popoli colonizzati che spesso superano le squadre dei colonizzatori, ecc ecc.