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UNA PAROLA MARZIANA

Per ascoltare invece di leggere:

La parola “grazie”. Io ho imparato a dirla in un sacco di lingue, approfittando del mio lavoro in un ambiente internazionale. Suona molto diversa quasi dappertutto, come se la riconoscenza ognuno avesse diritto di esercitarla a modo proprio. In Italiano c’è, come accade spesso, una parentela sia pure vaga col greco antico, char-tos (qualcosa che produce gioia) e col verbo eucharistèin, essere grati: si è grati per qualcosa che produce gioia infatti. Un regalo, un gesto. (Superfluo ricordare che la stessa eucaristia non è altro che un dono, il massimo dono di Dio all’umanità e che ogni dono presuppone un gesto.)

Non so proprio perché, per familiarizzare con i miei colleghi arabi o bulgari, cinesi o eritrei, ho chiesto a ciascuno di loro di tradurre il mio “grazie” nelle loro lingue. Forse perché, al di là delle differenze culturali, religiose, sociali etc, la gratitudine è, o dovrebbe essere, uno dei pochi valori universali, insomma il primo oggetto da condividere fra noi persone, l’occasione di scambiarsi un sorriso, uno pseudo-dono, insomma di riconoscerci umani.

Forse, chiedendo di sentire pronunciare il loro grazie, volevo in qualche modo sentirmi dire grazie, facendomi bastare il suono della parola, anche indipendentemente da una gratitudine effettiva. Insomma il significante senza il significato, un piccolo premio di consolazione. O forse speravo che il solo avvicinarli e incuriosirmi alla loro lingua rappresentasse per loro, stranieri in terra straniera, motivo per sentirsi accolti e dunque piccola occasione di gioia. O ancora perché, una volta condiviso un grazie (la capacità anche solo teorica di esercitare la gratitudine, di richiamare alla memoria questa funzione), abbiamo condiviso più o meno tutto, abbiamo la conferma di parlare la stessa lingua anche se ne parliamo due diverse.

Purtroppo “grazie”, almeno nel nostro mondo, sta diventando una parola in via di estinzione. Diamo tutto per scontato, presumendoci titolari di diritti e destinatari di azioni codificate, previste per legge, soggetti di moduli da riempire con dati anagrafici o fiscali. Il prossimo esiste solo come inciampo da evitare, oppure come strumento per l’ottenimento di qualcosa che ci è dovuto, dunque come ingranaggio da far funzionare o sostituire, se fuori uso. Nella migliore delle ipotesi un accessorio.

In questo arido schema, non c’è spazio per nessuna sorpresa, ovvero per nessun dono “extra” rispetto a Natali e compleanni. Scompare anche la facoltà di accorgersi di essere destinatari di doni “fuori ordinanza”, di inavvertiti gesti di gratuità.

Ma “grazie” non è soltanto una gentilezza formale. Pronunciarlo significa ricordarci di essere portatori di significati, e che ognuno di noi è in grado di contenere e anche di oltrepassare qualcosa.

Infatti ciascuno di noi non è solo la rappresentazione astratta di un essere vivente coi piedi piantati in terra.   Si dovrebbe provare a volare. Su Marte lo sanno.

 

7 ottobre 2024

2 thoughts on “UNA PAROLA MARZIANA

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