Ci sono parole che non si usano più, alcune addirittura sono state bandite e criminalizzate, radicalmente espunte dalla lingua corrente. (In compenso altre vivono stagioni ingiustificatamente e ossessivamente felici, è il caso ad esempio di “narrazione” oppure di “fluidità”, tipiche di questi tempi.) Ma torno alle parole rejette, perseguitate, più o meno a ragione. Nel nostro paese la parola “patria” si porta dietro ricordi di epoche passate e non tutte gloriose della nostra storia. Eppure, per la patria sono morti tanti… patrioti, basta pensare al risorgimento. Ma, negli anni la parola, e soprattutto il suo significato, sono stati colorati di odioso orgoglio reazionario e dunque piano piano sono usciti entrambi dalla lingua e dalla nostra coscienza civile. “Patria” è un concetto muffoso e anche pericoloso, visto che il mondo si va globalizzando, visto che dobbiamo, a ragione, aprirci all’accoglienza di altre culture e alla mescolanza con altre etnie, visto che un diffuso mainstream psicoanalitico ha criminalizzato per anni la stessa figura del padre e la funzione della paternità, termini con i quali la parola “patria” è chiaramente connessa e che comportano riferimenti a odiose forme di autorità.
Spezzare le radici identitarie sembra perciò il must dei nostri tempi: una tracciatura certa dell’individuo è diventata quasi un crimine, dal momento che tutti hanno diritto ad essere tutto, indipendentemente dalle proprie origini, dal luogo e dalla data di nascita, dal sesso, dalla religione, dai gusti, dalle inclinazioni individuali etc etc. Viva la fluidità, vedi sopra.
E allora perché mai ci scaldiamo tanto per l’Ucraina? Da quelle parti non stanno forse combattendo una guerra patriottica contro l’invasore? Noi che siamo così bravi a dare lezioni di diritti umani e di democrazia in paesi dove le donne sono costrette a girare coperte o non hanno diritto all’istruzione, noi che non ci facciamo scrupolo ad esportare i nostri modelli di civiltà in paesi anche molto lontani dal nostro, possibile non siamo capaci di instillare in chi è vittima e attore di reazionarie guerre patriotiche anche il disgusto per la parola “patria” con tutto ciò che questa parola si porta dietro? Noi che siamo tanto bravi a mescolarci con sikh, musulmani, congolesi, buddisti, cinesi e marziani, possibile non siamo stati mai sfiorati dal proposito di diffondere la stessa disponibilità al melting pot anche fra russi e ucraini? In nome della tanto celebrata fluidità, perché dobbiamo pagare anche noi, o contemplare impotenti e inorriditi le cruente conseguenze di una retriva resistenza… patriottica?
Si dirà che in questa resistenza dobbiamo vedere non tanto l’orgoglio patriottico ucraino, quanto la fiera lotta contro il patriottismo russo, per giunta corrotto da anacronistiche ambizioni di dominio mondiale. L’ultimo dei Mohicani combatterebbe qui per salvare il mondo intero da una minaccia imperialistica globale.
Ma se invece ci fosse un’altra superpatria, ben mimetizzata da qualche altra parte, a cui senza accorgercene, noi abbiamo sacrificato tutto quello che siamo e che eravamo, la nostra identità, il nostro retaggio di nazione in nome della fin troppo semplicistica utopia di un mondo unito, privo di disuguaglianze? Imagine there’s no countries – cantava John Lennon – And no religion too. Così è facile: togli tutto a tutti, incuse le differenze e le motivazioni –nothing to kill or die for – e otterrai un popolo di decerebrati. Pacifici, certo, ma anche praticamente morti e perfettamente manovrabili.
La verità è che è impossibile non prendere posizione. Tutto è politico, come scriveva la poetessa polacca Wislawa Szymborska. E allora non facciamo le anime belle. Non nascondiamoci dietro la battaglia per la libertà o la difesa dei diritti umani. Anche noi siamo in guerra, e abbiamo semplicemente scelto da che parte stare, non dimentichiamolo.
Lo abbiamo fatto, tra l’altro, accettando di privarci proprio di ciò che abbiamo di meglio, ovvero di rinnegare la vecchia, usurata, ma pur sempre nostra “patria”.
12 aprile 2023
bBenedicta Piselli
Che bell’osservazione! Però pensavo: coloro che si schierano dalla parte dell’Ucraina non lo fanno perché vogliono preservare questa patria o perché non vogliono che si mescoli con quella russa, ma semplicemente condannano il modo forzato in cui i Russi stanno cercando di far avvenire il mescolamento. In sintesi condannano la violenza, ma non promuovono la patria Ucraina e il suo mantenimento. Altri pareri?
lauradmin
Cara Benedicta, ti ho risposto con il blog successivo in data odierna! Grazie per il tuo intervento.