Close

L’EQUIVOCO CENTRO DEL CERCHIO

Ho partecipato di recente a un matrimonio nello splendido mausoleo di Santa Costanza, sulla via Nomentana, a Roma.

Come giustamente mi ricorda un mio amico sacerdote, questo spazio non nacque come luogo di culto cristiano, esattamente come il Pantheon o anche la Basilica di Santo Stefano Rotondo, sempre a Roma. Allo stesso modo, innumerevoli spazi “pagani” furono adattati un po’ ovunque alle esigenze del nuovo credo, che si impiantò non solo materialmente sul patrimonio del mondo classico, ma ne conservò in molti casi la preziosa eredità culturale.

L’altro giorno a Santa Costanza ho sperimentato però lo strano disagio di seguire un rito in uno spazio circolare. Chi conosce il mausoleo, sa che l’altare è collocato al centro, mentre i posti per i fedeli occupano il perimetro. Nel corso del rito il sacerdote ha usufruito di tre diverse postazioni: una in un punto casuale del perimetro, dando le spalle ai fedeli seduti in quella stessa sezione di circonferenza, una seconda davanti all’altare rivolto agli antistanti posti degli sposi, l’ultima dietro l’altare, dove ha celebrato l’eucarestia. Ministrante nomade, assemblea disorientata e distratta. Qualcosa di simile a ciò che accade oggi nella Chiesa universale?

Mi è tornata in mente la famosa Tavola Rotonda di Re Artù, che nelle intenzioni voleva significare l’equidistanza di tutti i cavalieri dal re, ovvero l’assoluta parità affettiva che li legava al sovrano: non mi ha mai convinta, a meno che -ho sempre pensato- la tavola non fosse bucata e il sovrano non fosse seduto nel buco, e anche in questo caso, con la difficoltà di decidere da che parte guardare, oppure con l’obbligo di girare continuamente sulla propria sedia per dare le spalle a turno ai suoi commensali.

E’ difficile stare in un cerchio. A dispetto di quanto potrebbe sembrare a prima vista, il cerchio è insieme scomodo e impegnativo. Lo è quasi quanto la democrazia, che è anch’essa scomoda e difficilissima. Forse alla fine la democrazia è antidemocratica: ci illude di una possibile equidistanza dal centro, nella speranza di poter neutralizzare qualsiasi posizione di privilegio. Sta di fatto che anche in un cerchio, proprio in un cerchio, un centro è necessario, con buona pace dei punti del perimetro cui piacerebbe sapersi tutti uguali: anche dentro un cerchio non si può sfuggire alla necessità che un punto sia un po’ meno uguale, coinvolto, non a caso, nel calcolo del decisivo Pi greco.

Dentro una chiesa cattolica non ci sarebbe niente di più affine al simbolismo del Cristo-luce di cui parla ad esempio il Vangelo di Giovanni di una pianta circolare da cui si diramano infiniti raggi, anche solo ideali. Ma come abitare dentro una tale provocazione geometrica? Se il celebrante sceglie la posizione centrale dovrà guardare alcuni e ad altri dare le spalle. Se sceglie una sezione della circonferenza a scapito di tutte le altre avrà penalizzato il concetto stesso di circolarità, soffocando il suo stesso ruolo dentro uno spicchio, scelto magari a caso.

Anche la Chiesa cattolica, universale, missionaria, sinodale, intesa come popolo di Dio composto da tutte le nazioni della terra, ama – o amava- pensarsi come un centro radiante, capace cioè di espandersi attraverso l’annuncio del Vangelo ai non credenti. A maggior ragione, dentro questo organo centripeto e insieme centrifugo, è sempre necessario individuare un centro, per esempio un pontefice.

Il quale invece, attualmente, sembra quasi essere alla vigilia del disconoscimento non solo della posizione centrale di Gesù nella salvezza del mondo, ma anche della Chiesa e del suo stesso ruolo di capo di detta Chiesa: se tutte le religioni sono uguali, come ha detto a Singapore il 13 settembre nel corso dell’incontro coi i giovani, anche un pontefice può tornarsene alla periferia del suo cerchio. Più o meno da dove è venuto. E c’è da credere che stia per farlo, vista la sua passione, più volte sbandierata, per le periferie non solo geografiche.

Insomma sembra davvero che …il cerchio stia per chiudersi: presto avremo un cerchio senza centro, una chiesa senza capo, un capo senza cervello, una democrazia perfetta, senza proprio nessuno che la guidi, la orienti, la corregga, la migliori. Che sollievo! L’utopia dell’uguaglianza cosmica sta per avverarsi: quel giorno nessun progresso sarà più necessario, nessuna redenzione avrà più importanza. Perché andare avanti verso chissà dove se si può procedere in tondo, tutti insieme, come pecore senza pastore?

Prima del concilio il sacerdote celebrava messa dando la spalle all’assemblea. Fu ritenuta una scortesia, una mancata considerazione per i fedeli, una specie di anacronistico residuo dittatoriale. Era invece la più compiuta immagine dell’eterno viaggio dell’umanità verso il proprio riscatto, verso un punto indefinito e insieme ineluttabile, lungo una retta teoricamente infinita, sulle orme di un pastore, del Pastore. La chiesa autoreferenziale del presente preferisce invece “chiudere” il pastore di fronte alle sue pecore, farli fronteggiare in un compiacente faccia-a-faccia, spesso a parlarsi addosso e a non ascoltarsi. Segno che la direzione è persa. Quando non si sa più dove andare, ci si guarda dentro.

Per questo il cerchio appare comodo, perché non ci fa spostare di un millimentro da dove siamo, dandoci invece la falsa sensazione di camminare. Per questo la democrazia nella Chiesa seduce, e così il sincretismo: perché nascondono la mancanza di senso e lo smarrimento della fede perfino in chi se ne dichiara difensore. O forse nascondono di peggio: la volontà di dimenticare Gesù e il suo Vangelo.

Io sono una miscredente, ma in questi ultimi mesi sento puzza di millenarismo e di apocalisse. Proprio in questo seducente disastro, così cordiale, così sorridente, così “democratico”, mi torna il bisogno di Dio. Proprio a me. Un Dio sobrio, esigente, soprattutto crocifisso. Forse è il momento che ci creda anche io.

 

14 settembre 2024

One thought on “L’EQUIVOCO CENTRO DEL CERCHIO

  1. Antonino D'Anna

    Sono credente, ma questa Chiesa in cui “Dio non è cattolico” e “Tutte le religioni sono uguali” non è la Madre e Maestra in cui mi hanno cresciuto. E ho solo 44 anni, quindi pienamente natus et altus in tempo post-conciliare. Se rinunci a te stesso non sei più nessuno.
    Allora penso alla profezia che fece Ratzinger alla radio tedesca nel ’69, quando disse che la Chiesa del futuro sarebbe stata più semplice, più piccola ma dalla fede più forte e viva. All’inizio della mia carriera giornalistica mi sembrava un’esagerazione, oggi la reputo una profezia di un uomo Santo. Spero di vivere così a lungo da vederla avverare. Più Gesù, meno prediche sull’ecologia e i cattolici da pasticceria. Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *