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L’IMPORTANZA DEL VELO

Non sono sicura che sia del tutto giusto battersi perché le donne islamiche si tolgano il velo. E’ giusto battersi perché nessuna di loro venga maltrattata, arrestata, torturata e perfino uccisa per il solo fatto di volerlo fare, certamente. Così come è giusto battersi perché nessuno in nessuna parte del mondo venga maltrattato, arrestato, torturato e ucciso per il solo fatto di manifestare un pensiero dissidente rispetto al regime del suo paese.

C’è però una sottile contraddizione nello sdegno occidentale per il destino delle donne velate. Tuteliamo la biodiversità, predichiamo il rispetto della natura, aborriamo il proselitismo quando violenta le culture indigene, condanniamo la colonizzazione che ha snaturato le tradizioni locali, detestiamo la globalizzazione quando inquina e livella le particolarità di etnie e aree geopolitiche, eppure condanniamo una “naturale” cultura “indigena e locale” che prevede in buona parte del mondo islamico che le donne siano velate. Ma chi ha insegnato alle donne islamiche a volersi togliere il velo se non la globalizzazione, se non una perfida, strisciante, inevitabile colonizzazione incoraggiata dalla televisione prima e dal web poi? Dove hanno imparato a ribellarsi al velo le donne islamiche se non dai modelli occidentali più o meno a loro direttamente imposti? Anche in questo caso abbiamo esercitato una violenza, turbando una tradizione secolare che fino all’era precedente la globalizzazione nessuno si sognava di modificare. O quasi.

Dunque quando scendiamo in piazza perché vengano tolti i veli alle donne islamiche non stiamo forse sostenendo l’imposizione di  un modello estraneo alla loro cultura? Qual è la violenza peggiore, quella di chi impone il velo o quella che insinua che sarebbe meglio toglierlo? E dov’è la possibilità, per le interessate, di scegliere davvero liberamente? Ovviamente il melting pot è inevitabile, ed è altrettanto ovvio che qualsiasi contaminazione provochi disagi, tensioni, reazioni e scontri. Però bisognerebbe esserne consapevoli, prima di scandalizzarsi. O meglio bisognerebbe chiedersi di che cosa realmente ci stiamo scandalizzando e di che cosa siamo davvero autorizzati a scandalizzarci. Certamente del fatto che qualcuno venga punito per non poter esercitare una libera scelta, ma nella consapevolezza che quella scelta in fondo non è poi tanto libera.

Poi ci sono donne velate di cui nessuno si accorge, perché il loro velo è invisibile. Ed è il velo più velo di tutti, quello che svolge al meglio la sua funzione, diversamente lo chiameremmo cortina, schermo, sipario, plaid, ne avvertiremmo l’ingombrante presenza, saremmo autorizzati a  strapparlo via. Il velo più efficace, viceversa, è quello che scompare alla vista, il trasparente.  Ne darò alcuni esempi. Donne in carriera o mezzobuste televisive che si auto-velano travestendosi da uomini, donne velate dal fatto di essere mogli o compagne di qualche uomo importante e alle cui idee nessuno presta attenzione per timore di invadere l’altrui “proprietà”, adolescenti anoressiche velate dalle proprie fissazioni, tardone rifatte velate da iniezioni di botulino, donne di strada velate dalle loro nudità esposte, mercenarie delle maternità surrogate velate dietro la propria avidità di denaro spacciata per filantropia o contributo alla scienza, ragazze perse dietro amori impossibili velate dalle proprie illusioni, professioniste velate dalle voci più forti di maschi autorevoli e ingombranti… Eccetera.

Siamo velate anche noi in occidente, che ci crediamo tanto evolute. Anche se non siamo suore. E spesso siamo noi stesse a costruirci il velo, impalpabile tela di Penelope che poi diventa di ragno, con cui catturare il maschio, nonostante si presuma il contrario. E tanto più siamo velate quanto più non ce ne accorgiamo.

Conscia di tutto ciò, io certe volte sento proprio il bisogno di …velarmi da me. A volte lo faccio apposta per contrastare la civiltà della sovraesposizione selvaggia. Certamente posso permettermelo perché nessuno mi costringe, perché è un desiderio che nasce da me stessa e nessuno me lo impone. Un tempo questa “cosa” si chiamava pudore. Che bella parola. Deriva da un verbo latino che significa “avere vergogna”, pudere. Il punto è che avere vergogna oggi è ritenuto un atto… vergognoso, vige la legge della spudoratezza. Anche io avuto nella mia vita atteggiamenti spudorati e aggressivi, ma poiché ho imparato a percepirne la portata distruttiva e autodistruttiva, quando posso me ne metto al riparo. E abbasso gli occhi. E’ un gesto bello, solo in apparenza arrendevole, forse perfino seduttivo; perché tutti lo hanno dimenticato?

Potendo scegliere, io oggi preferirei girare velata piuttosto che invisibile. E’ vero che anche da noi in occidente se sei donna a volte non esisti proprio. Non esisti ancora. (Forse non esisterai mai). E allora finisci per velarti di abiti maschili, di orpelli, di eccessi, di missioni impossibili… Sempre di nascondimenti si tratta, anche se non platealmente e esplicitamente imposti per legge. E che cosa è peggio: un velo che si vede o un velo che sembra -solo sembra- non esserci?
A quanto pare, il gioco del nascondino ha un suo perché, una sua saggezza fastidiosa e inevitabile, per cui da bambini non possiamo non appassionarcene, segno che nasconde un segreto importante della vita. Forse ci insegna che in certi casi il velo è la persona stessa. O che tale dovrebbe rimanere. Uomo o donna che sia.

 

7 dicembre 2022

 

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