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L’IMPORTANZA DEL VUOTO

Quanto pesa il vuoto? Diresti niente. Eppure, ogni volta che entri in una chiesa ne avverti la gravità, la … responsabilità che comporta. Ogni chiesa, ogni tempio, è uno scrigno di vuoto. La ricchezza più importante all’interno, non sono gli affreschi, le statue, gli stucchi, i capitelli, gli arredi, le pissidi, le arditezze architettoniche… ma il nulla che li sovrasta.

I soffitti altissimi, le navate, le cappelle, le nicchie, gli absidi accoglienti non fanno che celebrare lo spazio cavo. Ogni chiesa – con le sue cavità – ci invita a modellarci su di essa per lasciare spazio a Dio. Ma invece di farlo dentro di noi, il vuoto finiamo per accentuarlo negli stessi spazi sacri, che oggi sono puntualmente disertati. Le chiese sono vuote anche di persone. Infatti oggi non amiamo gli spazi se non riempiti di cose: solo i centri commerciali placano il nostro horror vacui. Invece le chiese restano al loro posto: severe, esigenti, eloquenti dei loro silenzi e delle loro magnificenti cavità interne.

Anche i santoni yoga e i maestri zen predicano l’importanza del vuoto. Se non fai vuoto dentro di te, sarai sempre schiacciato dalle inutili e fuorvianti categorie mondane. Il vuoto è una potenzialità dell’umano, un’occasione da cogliere. Lo predicano in tutte le epoche, in tutti gli angoli della terra: qualcosa di vero ci sarà. Dipende forse dal fatto che il nostro pianeta galleggia nel vuoto, che tutti noi veniamo da un vuoto e siamo destinati a un altro vuoto… Del resto, senza vuoto tra una nota e l’altra sul pentagramma, non c’è neppure musica. E la musica che cos’è se non una… variazione del vuoto?

In questi anni mi stanno insegnando a disegnare, invitandomi a riconoscere gli spazi vuoti tra una forma e l’altra (che sono forme senza nome, apparentemente senza alcuna funzione, irriconoscibili). Proviamo a guardare la realtà come un intreccio di vuoti: da ciò che non c’è, affiora misteriosamente il senso e l’equilibrio di tutto il resto, le relazioni tra le cose esistenti e tra noi persone. Ma la prossemica non c’entra. C’entra semmai la sua versione sentimentale, che chiamerei “accoglienza”. Come accogli un’amicizia, un amore, una relazione, se non fai spazio dentro di te a qualcun altro, se non ti fai tu stesso vuoto, se non ti addestri -o non ti rassegni – a farti un po’ da parte?

Si parla fin troppo in questi giorni del ruolo della donna nella storia umana, vittima per troppi secoli di culture patriarcali. (E si tradisce così peraltro un’impostazione europocentrica, dimenticando le infinite civiltà presenti e passate in cui al contrario il matriarcato ha svolto una funzione decisiva). Sul ruolo e la funzione della donna vengono diffusi in questi giorni (e mesi e anni) quantità di luoghi comuni e di banalità. Tra tanti spunti, non ho mai sentito valorizzata una delle caratteristiche fisio-psicologiche di noi donne: il fatto che siamo “custodi di un vuoto”.  (E adesso non si alzi il solito convinto assertore che il vuoto noi donne ce lo abbiamo nel cervello.) Il vuoto, noi donne ce l’abbiamo nell’utero. Siamo proprio predisposte a … fare spazio.

E questo vuoto è semplicemente la possibilità della vita. Anche se siamo vergini, suore, sacerdotesse, bambine, zitelle, sterili o vecchie.

Non so se qualcuna può condividere con me questa sottile, impalpabile sensazione che potrebbe suggerire una lettura rivoluzionaria e pacificante dei rapporti fra i sessi, nonché dell’importanza del vuoto. Se non nascessimo -noi donne- con questo vuoto dentro, il mondo finirebbe. Non voglio fare la retorica della cultura della vita, ma accendere una luce sull’importanza sacra della sua trasmissione, anche solo teorica, questo sì.

Non si trasmette se non grazie a un vuoto. (Anche le onde radio si propagano nel vuoto. Senza il vuoto dell’etere, non arriverebbe nessun segnale…) E allora siamo come basiliche, noi donne. Da qui, da questa nostra cavità interna si arriva quasi a Dio, da qui ci si avvicina all’eternità. Volenti o no. Perciò avevano ragione gli stilnovisti quando veneravano le donne angelicate. Perciò Dante si fa accompagnare in Paradiso da Beatrice. Non a caso perfino Gesù è nato grazie a una donna. E per questo oggi invece siamo tutti pazzi, nevrotici e perduti, perché ci siamo dimenticati -noi donne per prime- di essere custodi di un transito.

Non è un compito facile, ma è illusorio pensare di poterci sottrarre, e la biologia non è una punizione divina. Il “vuoto dentro” ha naturalmente suggerito alle donne di farsi da parte anche in secoli di storia…  Di madre in madre, custodiamo il vuoto, consentiamo il passaggio. Non è cosa da poco. Abbiamo questo di sacedrozio, non ce ne servono altri. Abbiamo questo, di primato, un’altra supremazia ci stroncherebbe, e forse ci sta già stroncando.
Perché nessuno se ne ricorda?

Le accoglienti cavità di una cattedrale sono il devoto ricordo di questa opportunità data al genere umano: l’opportunità sacra del vuoto. Le “forme di niente” tra una cosa e l’altra sono il costante promemoria di come gli uomini potrebbero superare tutte le loro illusorie divisioni. Figli di un materno vuoto, affratellati da distanze apparentemente incolmabili, potremmo solo riavvicinarci. Volendo. Benedetto il vuoto.

Perché, perché nessuno se ne ricorda?

 

22 novembre 2024

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