Per ascoltare invece di leggere:
L’uomo sta sbiadendo? No, non intendo il maschio, intendo il genere umano.
Millenni fa brandivamo la clava. Nessuno poteva ancora inventarsi le variazioni Goldberg o la Cappella Sistina perché eravamo impegnati nella lotta per la sopravvivenza: eravamo costretti a mangiare animali e qualche radice. Non si andava per il sottile, si cacciava, non esistevano neppure i vegetariani e tanto meno i supermercati “naturistici” che tanto incantano le signore radical-chic. Oggi non siamo più costretti a brandire la clava: le proteine animali le troviamo pronte in macelleria o cucinate nelle scatolette, ci ripugna la caccia e molti di noi si nutrono solo di frutta e verdura. Avremmo tempo per variazioni Goldberg e Cappelle Sistine, e invece non se ne vedono più tante in giro, forse hanno cominciato a ripugnarci anche queste, chissà come mai. Che la civiltà nasca sulle ceneri della barbarie? (O di ciò che è ritenuto barbarie?) Forse il non doverci impegnare brutalmente per la sopravvivenza ci ha fatto passare anche il bisogno di consolazione, la necessità di riscattare la barbarie con un po’ di bellezza.
Un diffuso ecologismo che intenderebbe riportarci al vergine stato di natura dimentica che in natura il forte mangia sempre il debole. Non per crudeltà, ma per necessità. E’ la natura ad essere “barbara”. E quando qualcuno osserva che l’uomo è il solo animale che non uccide per cibarsi e dunque per sopravvivere, ma per il puro e crudele gusto di uccidere, dimentica che l’uomo ha un grado di complessità molto diverso rispetto all’animale: il bisogno di sopravvivere, nell’uomo, è più articolato e dunque più mimetizzato. Chi uccide in guerra, anche per ordine di qualcun altro, sta indirettamente uccidendo per sopravvivere, per sopravvivere al sicuro nella sua patria, per non essere depredato, per garantirne i confini, per mantenere la propria libertà, o in ultima analisi per non essere condannato da una corte marziale etc. Chi uccide durante una rapina, uccide perché ha bisogno di denaro per sfamare sé e la propria famiglia. Il terrorista che spara sul presidente reclama giustizia, cioè alla fine pane per tutti. Anche chi uccide per gelosia, uccide indirettamente per sopravvivere, per la disperazione di non poter mantenere una relazione ritenuta, magari a torto, vitale per la sopravvivenza. Eccetera.
Ciò non giustifica evidentemente nessuna categoria di assassini. Perché a differenza dell’animale, pare che noi abbiamo in più il senso della morale. Però vale la pena ricordare che in ultima analisi, anche l’uomo uccide sempre e comunque per fame. Per una fame più complessa rispetto a quella dell’orso o del cane, ma pur sempre per fame.
Il dilagante disgusto per la carne sembra voler mimetizzare questa aspra verità: come se volessimo costruirci un’innocenza di facciata, ripristinare una verginità che nei fatti non ci è mai appartenuta e non ci sarà mai possibile. Rifiutando la carne è come se disconoscessimo il DNA della specie, che prevede la necessità di resistere in una natura comunque ostile, se non ragionevolmente piegata alle nostre esigenze. L’immagine bucolica di uno stato naturale pacifico, idilliaco, inoffensivo e comunque protettivo, è falsa. L’amnesia circa il fatto che la natura sia violenza e sopraffazione ci sta instradando verso una specie di ideologia dell’inermità. Non volerci macchiare neppure del sangue di un maialino rinunciando al ciauscolo o alla suppressata in ultima analisi equivale ad andare contro natura. Di fronte a dinosauro redivivo non avremmo più le unghie e neppure la voglia di difenderci. E’ come se qualcosa stesse agendo in noi per estirpare il gene di una sana, naturale aggressività. Forse è l’ecologia ad essere innaturale. O quanto meno artificiosa.
Quando ci siamo accorti che anche il sesso comporta in qualche misura sopraffazione, violenza e dominio del forte sul debole, ha cominciato a farci paura anche questo. Anche una vaghissima sfumatura di supremazia “psicofisica” sul partner ci fa sentire comunque colpevoli. Di qui la liquidità di genere. Meglio far finta che non ci sia un maschio che rischia di sovrastare la femmina piuttosto che apparire potenziali stupratori. Meglio che non ci siano né maschi né femmine. Facciamo che siamo tutti uguali, indipendentemente dall’apparato riproduttore.
Anche la politica, l’ideologia, la religione potrebbero rischiare di identificarci troppo. E chi si identifica si differenzia, cioè è autorizzato a imporsi con le proprie idee. Ma imporsi significa opporsi, contrapporsi, riprodurre quella violenza che qualcuno ci sta progressivamente disinnescando da dentro, come se fosse il vero, il solo peccato originale… Ma di nuovo: è proprio la natura, di cui ci sentiamo fieri di far parte quando ci illudiamo che sia solo cinguettare di uccellini , ad essere violenta.
Ci stanno facendo dimenticare questa sana aggressività naturale, ingrediente necessario alla sopravvivenza. Ecco allora politici ondivaghi, ideologie mutanti, sincretismi religiosi, morbidi e inoffensivi relativismi che danno ragione a tutti.… Ecco come l’uomo va sbiadendo. Fisicamente debole, sessualmente incerto, mentalmente arrendevole, impaurito dell’abbaiare di un cane, sempre più incapace di andare avanti senza un supporto.
Del resto, le clave di oggi sono così piccole. E così mimetizzate. Ci illudiamo che non siano armi. Così leggere, maneggevoli, colorate, le teniamo nella borsetta o in tasca. Pensiamo di manovrarle e invece ci manovrano, ci rendono sempre più sbiaditi seducendoci di colori, di suoni, di luci e di molto altro. Non sembrano proprio armi e invece lo sono. Eccome. E quel che è peggio, puntate contro di noi. Altro che ecologia. A buon intenditor…
19 gennaio 2025