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LOCKDOWN FOR EVER

Il lockdown, dicevamo. Roba ormai di tre anni fa. Ma ne siamo proprio sicuri? Io comunque ho sempre preferito dire ”clausura”. Mi è sempre sembrato un concetto più dignitoso, come se il ritirarsi dentro quattro mura potesse essere inteso come una libera scelta, dettata da bisogni  spirituali, più che dalle circolari del Presidente del Consiglio: faccio a meno del mondo … non tanto perché temo il virus e voglio evitare il contagio, ma perché il mondo mi ha stancato, perché preferisco cercare Dio.

Non è stato detto apertamente, ma a qualcuno quella clausura è piaciuta. A qualcun altro non ha cambiato  una virgola del suo stile di vita. Non è mai stato detto apertamente, ma la tentazione dell’eremo è molto più diffusa di quanto si creda. E forse perfino giustificata. Gli spiriti solitari, se si riunissero, fonderebbero un partito. Non si illuda, ciascuno di loro, di essere solo, oltre che solitario. Non c’è più nulla di originale e di raro nel separarsi dagli altri. Un’immagine del mondo di domani? Un pianeta di città-monadi, ciascuna abitata da un uomo solo, fortificata ciascuna dentro mura invisibili e contigue. Un’altra possibile lettura delle megalopoli, che solo in apparenza formicolano di vita.

Il lockdown, roba di tre anni fa? Non mi pare. E non perché il Covid stia tornando. Credo ci siano almeno due ragioni condivise all’origine di questa fuga dal mondo: la pigrizia del confronto e la paura dell’altro. Facciamo una fatica terribile a incontrare qualcuno oltre la superficie, e in ciascuno di noi aleggia comunque la domanda: chi me lo fa fare? Così ci si attesta sul minimo indispensabile. Ciao come va e i commenti sul tempo, i progetti delle vacanze. Scavare nell’anima altrui presupporrebbe impegno, fatica, tempo, serietà, attenzione. Chi me lo fa fare?

Come se non bastasse, questa improba fatica è portatrice del sospetto che il virus più pericoloso non sia il Covid, che abbiamo quasi imparato a tenere a bada con qualche pseudo vaccino o due o tre dosi di cortisone, ma che sia proprio lui: il nostro prossimo. Potrebbe contagiarci con i suoi pensieri, perfino sporcarci dei suoi sentimenti.

E così si fugge dentro. Lockdown. Ma dentro dove? Spesso in un nascondiglio perfettamente auto costruito, tendenzialmente oscuro anche se all’apparenza luminoso: un buco di mondo che molti truccano da eterna vacanza, ma il cui nome è sempre lo stesso: chiusura, rifiuto, paura, isolamento, solitudine, prigione. Come racconta la bellissima canzone di Niccolò Fabi “L’uomo che rimane al buio”.

In un testo teatrale di Thomas Bernhard il protagonista domanda: “Hai un’idea di dove potremmo andare se non fossimo già stati dappertutto?” E prosegue: “Se restiamo dove stiamo diventiamo pazzi lo stesso”.  Il punto è che l’unico posto dove potremmo andare, non essendoci mai spostati da noi stessi, è proprio il cuore degli altri.

Delle due l’una: non accorgerci della nostra pazzia e protrarre il lockdown all’infinito, oppure varcare la soglia per andare a stanare la pazzia di qualcun altro. E ammalarci gli uni degli altri, finalmente. Magari fosse.

 

7 gennaio 2023

 

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