Per ascoltare invece di leggere:
Pensavo di essere giovane e invece pare di no. Ho scoperto l’acqua calda? Non dipende dalle rughe o dal mal di schiena, ma dal fatto che i giovani mi danno fastidio. Mi stanno dando fastidio Non tutti, beninteso. Ma certe volte, certi di loro mi provocano l’orticaria.
Strano destino, il mio, analogo a quello denunciato tanti anni fa da Marcello Marchesi, il signore di mezza età degli ultimi anni sessanta. Proprio quando infuriava la contestazione giovanile, lui vestiva i panni del pensionato arguto e flemmatico, frustrato dal fatto di essere bollato come “matusa”.
“Non potevo parlare prima perché ero giovane e i miei mi educavano a sganassoni, -zitto tu che sei giovane!- non posso parlare adesso che sono vecchio perché i figli mi danno della mummia…- zitto tu che sei vecchio!- Ma insomma io quando parlo?”
Forse mai. I vecchi, meglio eliminarli da giovani, diceva qualcuno.
Quando infuriava la contestazione io ero bambina, e questi hippy assatanati ventenni mi mettevano soggezione. Oggi che ho i capelli grigi, i ventenni e i trentenni equivalenti ai ventenni di allora mi mettono analoga soggezione. Me ne devo difendere come dall’attacco di una medusa.
Mi ripeto che non è un merito essere giovani e che la giovinezza è una malattia da cui tutti loro guariranno presto, come sono guarita io. Ciò non toglie che questi “malati” di giovinezza mi disorientino, mi inquietino, mi destabilizzino e mi irritino.
I ragazzi di sessant’anni fa avevano tutto da distruggere. In un certo senso un compito facile. I ragazzi di oggi possono solo replicare. Ma che cosa? Le false certezze dei genitori o le insofferenze dei loro colleghi contestatori? In entrambi i casi appaiono cloni poco convinti, imbambolati di fronte a un panorama di macerie morali di cui forse a ragione ci ritengono responsabili e/o annaspanti dentro un mondo virtuale nel quale cercano invano risposte, certezze o consolazione. Ma non possono fare il verso agli adulti in nessun caso, perché il mondo è cambiato, e loro non se ne sono accorti, visto che nel mondo cambiato loro ci sono nati, e i modelli cui cercano di uniformarsi invece sono sempre gli stessi. Vecchi per definizione.
Ergo il risultato è sempre lo stesso: incomunicabilità, chiusure, frustrazione, vellutata superbia, rifiuto di essere aiutati. Tirando la linea, come diceva Picasso (o chi per lui): a quarant’anni ho imparato finalmente a essere giovane. Solo che è troppo tardi.
La giovinezza potrebbe essere una disciplina, capace di insegnare moltissimo al mondo intero, purtroppo oggi la circondano troppe mitologie, troppe aspettative, troppe pretese, troppa rabbia, troppa fuffa. Il problema è che chi è giovane oggi non conosce umiltà.
I vecchi tromboni chiamano in causa la famosa gavetta, sostenendo che generalmente quelli che oggi hanno intorno a trent’anni ne ignorano il valore, ne respingono la fatica, presumendo di averla già svolta, di potersene già fregiare dopo qualche settimana di blanda pratica in qualsiasi professione, invocando risultati immediati e rispetto della loro pro-fe-ssio-na-li-tà. L’immediatezza del resto è il mood di questi tempi. E la presunzione pure.
Ma state calmi: la tanto invocata professionalità non è come un titolo di studio buono per ogni stagione. La conquisti ogni giorno un po’ di più. Perfino l’immenso Vittorio De Sica si metteva umilmente di fronte al suo lavoro ogni volta come se fosse la prima.
E allora, che peccato.
Peccato che l’intelligenza, l’entusiasmo, la creatività, la disinvoltura e la presunta “professionalità” di tanti trentenni di oggi si lascino alla fine oscurare dalla pretesa di essere già arrivati prima ancora di essere partiti.
Attenti alle delusioni. Io ne ho avuta una l’altro ieri.
17 aprile 2024