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MI RICORDO DI QUANDO ERO CANE

Devo essere stata cane, in qualche altra vita. Lo affermo con ragionevole certezza perché quando incontro lo sguardo di un cane avverto una curiosa sensazione a metà fra straniamento e familiarità. Non sono una fanatica del mondo animale. Non sono di quelli che affermano di preferire le bestie agli uomini, perché in genere queste persone, più che trattare umanamente le bestie, finiscono per trattare animalescamente gli umani. I piani non vanno confusi: noi siamo uomini e loro restano bestie. D’altra parte la parola “bestia” merita attenzione, non va usata né con dispregio né con timore. “Bestia” è affine a “besso” ovvero  “biscia”, rispettabilissimo animale da cui bisogna difendersi e che bisogna comunque considerare come parte integrante del delicato equilibrio del pianeta. Nel bene e nel male.

Tutti hanno gli stessi diritti. Il rispetto è dovuto a tutti. Io devo essere stata cane, in qualche altra vita, perché mi accorgo prima degli altri di quando qualche creatura non viene rispettata. Non servono i lager o i gulag per strappare la dignità a un essere vivente, basta abbandonarlo, oppure ignorarlo. Se davvero sono stata cane, forse sono stata un randagio scaricato su un’autostrada. So che cosa significa vedere sfrecciare le auto con a bordo gente felice o inferocita dalla vita che comunque non ti degna di uno sguardo, per cui tu non esisti più o non sei mai esistito.

Mi ricordo a volte di quando ero cane perché anche io abbaio alla luna. E  solo dopo un’infinità di ululati mi rassegno al fatto che non mi risponde, che sembra una vivida lampada accesa mentre è solamente un sasso che gira intorno a un altro sasso. Mi consolo sentendo altri cani che abbaiano alla luna illusi come me, e non è vero che ci stiamo parlando tra noi a suon di abbai. Facciamo così tanto rumore ma ciascuno resta a ululare da solo, “trafitto da un raggio di sole”, ciascuno con la propria vana ostinazione di ricevere una risposta che non arriverà mai.

Mi ricordo di quando ero cane tutte le volte che sogno di essere lupo. E attraversando campi sterminati coperti di neve, scavando alla ricerca di non so che cosa, mi accorgo di essere bianco, un lupo candido come la neve su cui non lascio neppure impronte: sono diverso da tutti, con l’unico desiderio di lasciarmi morire di inedia per non dover sbranare più nessun’altra creatura, di sparire alla vista di tutti quegli spaventosi nemici senza muso e senza forma che continuerebbero invece a sbranare me, e che mi inseguono in tutti gli altri sogni.

Mi ricordo di quando  ero cane e mi hanno illuso lasciandomi la libertà di scappare e poi sono finito sotto un treno. Puntavo le farfalle. Nessuno sa che i cani non sanno che farsene della libertà, tanto meno i randagi. Mi ricordo anche di quando ero cane e mi spezzai una zampa saltando per la felicità in un prato tutto verde che vedevo per la prima volta dove c’erano fiori dagli odori inebrianti. Sempre così la vita. Ti frega sul più bello. E mi ricordo di quando ero cane e avevo le zampe irrigidite dalla malattia, e non potevo più accucciarmi e imparavo a dormire in piedi, appoggiato solo sul mio muso, imparando alla fine a dormire per sempre.

Devo essere stata cane perché non faccio nessuna differenza fra buoni e cattivi. Quando riconosco un padrone, mi lego a lui per la vita anche se è uno stronzo. Se mi addomestica, resto attaccata ai suoi polpacci anche se mi ha dimenticato, anche se mi lancia nello spazio dentro una capsula sacrificandomi alla scienza. Non mi importa neanche se è un aggredito oppure un aggressore, se è bianco o nero, se parla ucraino o russo, se pensa troppo o quasi niente. Riconosco comunque in lui la mia stella, la mia unica direzione.

Devo essere stata cane perché ho nostalgia di una coda. E’ così sintetica e solenne per esprimere quella felicità sconsiderata e incosciente che nessun umano conosce. Un ventaglio non sarebbe mai così elegante. Devo essere stata cane perché anche io scodinzolo, però nessuno se ne accorge.

Devo essere stata cane perché mi sembra di riconoscere lo strazio dei canili, di captare, nel fondo delle notti, latrati di dolore incommensurabile: tutto il dolore del mondo, tutte le perdite e gli abbandoni che urlano insieme come da un’unica, profonda gola.

Mi ricordo di essere stata cane perché anche io sono un randagio che conosce la gratitudine e la speranza nonostante tutto. Il padrone vero però non l’ho mai trovato, un maestro pietoso e umano quanto basta, per insegnare anche a me un po’ di vera umanità.

E mi ricordo di essere stata cane tutte le volte che rubo una carezza. Tutte le volte che impatto per caso nello struscio involontario di una mano contro la mia. E’ allora che mi ricordo, divertita e confusa,  di essere anche io una donna.

 

Non idealizzare mai nessuno, o ti troverai a rimpiangere chi non è mai esistito.

19 ottobre 2022

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