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NIENTE SOTTERRANEI IN QUESTO VATICANO

Ho visto al Teatro Sala Umberto di Roma I due papi. Con Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo nei panni, rispettivamente, di Benedetto XVI e Jorge Mario Bergoglio. Dal testo di Anthony McCarten  era già stato tratto un film Netflix di grande successo. Molto diversa la lettura di questo testo offerta qui in scena, grazie alla regia di Giancarlo Nicoletti, dove ha abbondato l’ironia, laddove il racconto cinematografico sembrava invece prendersi maggiormente sul serio e maggiormente incentrarsi sulla tesi (tutta fantapolitica vaticana) della designazione di Bergoglio al soglio di Pietro da parte del suo stesso predecessore.

Umanissimi, Ratzinger nelle sue “robuste fragilità” e nella sua ironia, Bergoglio nella sua giovialità energetica e travolgente, i due papi teatrali hanno inscenato un confronto che, fatta salva la validità dello spunto testuale, affascina proprio per la sua irrealtà. O meglio per la divertita forzatura della realtà.

Sappiamo quanto, nei dieci anni che sono intercorsi fra le “dimissioni” di Ratzinger e la sua morte, correnti di curia hanno lavorato per tessere (forse per creare) una contrapposizione “ideologica” fra i due papi o quanto meno per presentarla tale al mondo, forzando quelle diversità di posizioni dottrinali che tanto hanno alimentato le discussioni e le dietrologie vaticane. Questo testo “dell’altro capo del mondo” (Mc Carten è neozelandese) sembra non voler rivelare niente di nascosto in merito (nella sua lettura non esistono alla fine troppi “sotterranei del Vaticano”), quanto accomunare le due figure di fronte al delicatissimo e tutto “diurno” tema del potere: il potere interno vaticano, il rapporto coi poteri esterni dei regimi, la gestione non facile ma inevitabile di equilibri che con il compito primario del successore di Pietro (la guida delle anime, missione spesso più notturna che diurna) si vorrebbe non avessero nulla a che fare.

Il disegno di rendere entrambi i personaggi, ciascuno a suo modo bonario mitiga forse un po’ troppo, e forse volutamente, il mood sommerso del testo, che a mio avviso maggiormente sfiora il dramma e le ragioni della rinuncia. Qui Benedetto non è una figura tragica, quale è stato e quale sarà ricordato, e tanto meno Bergoglio. Nel generale sforzo demitizzante e semplificatorio del nostro tempo, il testo di Mc Carten è pertanto un prodotto perfettamente in linea: oggi nulla può e deve più dirsi “distante” dalla nostra quotidianità e dalla nostra incerta umanità. Anche un papa deve poter apparire fragile e indeciso, esposto alle stesse piccole debolezze di tutti noi, insomma meno superman di come nei decenni passati i fedeli erano portati a vederlo. In questo senso si può dire che il testo di McCarten intende “rimpicciolire” le figure dei protagonisti, come guardandole da un binocolo capovolto, contribuendo a epurarle di un carisma ritenuto ormai comunque anacronistico.

Strano e tuttavia indovinato il casting dei due grandissimi attori in scena: per certi versi la bonomia latina di Colangeli (romano) suggerirebbe i tratti di Bergoglio. Così come la ricercatezza nordica di Rigillo (che invece è napoletano!) ci porterebbe a vedere in lui il più algido Ratzinger. E invece i ruoli sono all’inverso. Ma questo semmai conferma che, indipendentemente dalle somiglianze, il grande attore plasma il suo personaggio nel materiale che ha: semplicemente se stesso, non solo da fuori, ma soprattutto da dentro. Perfette anche le due suore: la germanica Anna Teresa Rossini, che non perde il suo charme neanche da sotto il velo e che proprio per questo rivela la sua duttilità e il suo temperamento sempre colmi di energia e di attenzione ai ruoli, e la ispanica, solare Ira Fronten. Belle le scene di Alessandro Chiti e Alessandra Menè che, complici anche alcune proiezioni michelangiolesche, cui ormai siamo beatamente abituati, ci accompagnano alla perfezione dentro le mura di oltre Tevere.

 

30 aprile 2023

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