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NON C’E’ NIENTE DA RIDERE

Per ascoltare invece di leggere:

Chi è Arlecchino? Tutti e nessuno, oggi ne sappiamo qualcosa. E’ uno che ci assomiglia, e quanto. Che si trasforma, che passa da una dimensione all’altra, dal lecito all’illecito, dalla finzione alla realtà, dal giusto all’ingiusto, dal bianco al nero e via di questo passo.

Questa la tesi del hsaggio alquanto “arlecchinesco” che gli ha dedicato il filosofo Gian Piero Jacobelli: Arlecchino passator scortese, edito da Luca Sossella.

Perché arlecchinesco? Perché è un libro, come spesso quelli del suo autore, che potrebbe “fastidiosamente” ricordare il variopinto costume a losanghe che tutti conosciamo, un costume che evoca il disordine, ma solo fintamente, visto che le suddette losanghe sono molto ordinatamente cucite insieme, secondo uno schema più che preciso, implacabile, anzi matematico. Analogamente, “Arlecchino Jacobelli” cuce insieme un caleidosccopico e concentrico disordine-ordine di citazioni che si rimandano reciprocamente all’infinito per “passare” l’una nell’altra, ovvero per passare in un certo senso disinvoltamente sopra e attraverso il tema in oggetto, volutamente lasciandoselo quasi sfuggire, lasciandolo passare altrove quasi intoccato, del resto a conferma della sommessa e sommersa tesi di fondo.

Tanto si dice e ancora si potrebbe dire dello sfuggente Arlecchino grazie a questo collage di frammenti di pregevoli studi di provenienza diversa, ma forse la più sfuggente (e perciò autentica) verità su questa antica e vagamente inattuale maschera della commedia dell’arte (che in realtà ha origini assai più antiche e parentele con miti classici e moderni) sta precisamente nel passaggio di cui è custode, nel promemoria di tutti quei confini che spesso tragicamente segnano la nostra esistenza nonché la nostra storia presente (Ucraina, Medio Oriente…): come Giano bifronte, Arlecchino ci ammonisce sull’eterna valenza di ogni passare (avanzare per fermarsi, aprire per richiudere, affermare per negare, essere per non essere…), ma in ultima analisi, come ha suggerito lo stesso autore nella presentazione romana avvenuta venerdì scorso 10 gennaio alla Fondazione Primoli, Arlecchino altro non è che maschera di se stesso, ovvero di tutti noi e della nostra aspirazione al mascheramento ultimo: quello che invano perseguiamo per scampare alla morte.

Perciò il trasformismo ci è così congeniale. Perciò la nostra società non sarà per noi mai abbastanza liquida, perciò le fake news non saranno mai troppe per la nostra smania di fuga dalla realtà.

Perciò Arlecchino è condannato ai suoi guizzi e lazzi per l’eternità. A cercare di dimenticare che passare dal pianto al riso poi comporta necessariamente passare dal riso al pianto. E così via. Grazie dunque a Gian Piero Jacobelli per questo amaro, inevitabile promemoria mascherato di carnevalesca levità.

 

12 gennaio 2025

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