Per ascoltare invece di leggere:
“Non ricordavo di ricordare”. Mi è capitato giorni fa, grazie a una vecchia compagna di scuola ritrovata.
“Non ricordare di ricordare” è un po’ diverso da “avere dimenticato”. Se hai dimenticato, in genere ti accanisci a cercare di farti tornare la memoria e capita che all’improvviso ti si accenda una lampadina: allora di colpo ti torna in mente dove hai parcheggiato l’auto, dove hai nascosto un regalo perché il destinatario non lo trovasse prima del suo compleanno etc etc. Un vuoto di coscienza improvvisamente si riempie e tutto torna a posto. Tu avevi dimenticato, tu stesso pareggi il conto. Ti eri perso qualcosa (in latino “di-mentare”, uscire di mente) e ce lo rimetti dentro.
Ma se non ricordi di ricordare e il ricordo riemerge per conto suo, libero come un gatto, senza essere stato cercato, del tutto inaspettatamente, grazie a uno spunto offerto per caso da qualcuno o da qualcosa, allora le cose cambiano.
Giorni fa Cettilia, compagna di scuola del ginnasio-liceo Mamiani di Roma -complice una certa operazione nostalgia lanciata dalla stessa direzione del liceo, che in questi giorni ha compiuto un secolo di vita- ha condiviso le foto recuperate di tre nostri bidelli. Sì, ai nostri tempi si chiamavano così e c’era meno razzismo in questo termine affettuoso e familiare termine, di quanto non ve ne sia oggi nell’ipocrita, burocratica espressione “operatore scolastico”.
Dei tre, uno in particolare non ricordavo di ricordarlo. Non mi ero persa la memoria del suo nome o del suo viso, ero semplicemente ignara che per me fosse dileguato, nel senso che negli anni non ne avevo proprio sentita la mancanza, non mi ero accorta della sua “scomparsa”. E non perché fosse un personaggio sgradito o sgradevole, tutto al contrario. Artemio (strani i nomi dei bidelli e dei portieri, sempre originali, unici, testimoni di pretenziose quanto devote genealogie di paese) si era del tutto cancellato dalla mia memoria. Probabilmente spazzato via da quella stessa ondata di sollievo con cui volli dimenticare il disagio dei cinque anni da sfigata trascorsi tra quei banchi. Artemio non era neppure un personaggio insignificante, al contrario: sempre sorridente, con una faccia molto interessante e cordiale e dei modi dinamici. E con un nome che a ragione si richiamava alla mitologia greca, visto che era bidello di un liceo classico: Artemio come Artemide, dea della caccia, delle foreste, degli animali selvatici e della luna…
Ritrovare quel volto senza averlo perso e dunque senza averlo neppure cercato, averlo ricevuto come un dono generoso del passato è stata una gratificazione e insieme una lezione fondamentale. Mi ha dato la conferma del fondaco inesauribile che ci portiamo appresso, della smisuratezza della nostra anima, chiamiamola per un istante così, della profondità con cui conviviamo, spesso inconsapevoli, fin da quando nasciamo.
Ritrovare Artemio mi ha dato cioè una percezione consolante di me stessa: oggi so di essere una specie di calza della Befana senza fondo, una borsa di Mary Poppins, una soffitta che arriva chissà dove, un buco nero però pieno di luce. Insomma sono infinita. Tutti lo siamo. In noi convivono tutti i tempi, tutti i momenti, tutti gli Artemi della nostra vita. E non importa se vivacchiamo svagati, drogandoci dell’insignificanza e della banalità di questo momento presente. Ognuno dei nostri attimi è denso di attimi di altre ere, è figlio di tutto quello che sembra lontanissimo da noi nel tempo, ma che alla prima occasione ci si conferma presente, restituendoci ogni dettaglio e ogni emozione.
Non ricordare di ricordare è la prova che non finiamo qui, in questo istante passeggero. Ma che possiamo avventurarci nel passato e forse anche nel futuro.
4 giugno 2024