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NON SOLO UN FUTURO MA TANTI

E se il futuro fosse una professione, uno studio? Lo pensano i Futuristi italiani, riuniti in una specifica Associazione, tra i cui fondatori c’è l’eclettico direttore dell’Associazione Costruttori del Friuli Venezia Giulia Fabio Millevoi, che ho incontrato oggi. I costruttori sono in effetti una categoria predisposta per necessità a pensare al futuro, alla resistenza di materiali e alla stabilità delle fondamenta, oltre che all’evoluzione dei bisogni e delle abitudini di una comunità. Con l’Associazione Futuristi Italiani non hanno comunque nulla a che fare gli ufologi, gli appassionati di fantascienza né tanto meno i seguaci del vecchio Filippo Tommaso Marinetti. E non c’entrano neppure le Cassandre profetesse di sventure. Al contrario. I futuristi del terzo millennio sono studiosi visionari, ottimisti, convinti che dall’immaginazione e dall’attenzione odierna alle previsioni scaturisca la migliore opportunità di determinare le cose di domani. Dunque l’occasione di costruire un buon futuro, il più possibile al sicuro da rischi, il più possibile saturo di opzioni.

Mileveoi è un giurista di formazione, ma per vocazione un leonardiano, un interprete poliedrico dei nostri tempi, che condivide con sant’Agostino la riflessione sul tempo: il presente non esiste, perché mentre lo nomino è già passato, ma in questo presente è già attivo il futuro in forma latente e “indiziale”, non sempre visibile. E quanto al futuro: non esiste ancora, ovviamente –infatti dobbiamo ancora  “costruirlo”-, ma quando volessimo iniziare a pensarlo, dovremmo pensarlo esclusivamente al plurale. Immaginare dunque non il futuro, ma i futuri. Declinati secondo gli infiniti “se”, le infinite varianti che possono venire a determinarsi.

Da questa premessa filosofica scaturisce il più che innovativo sguardo di Millevoi, che forse proprio la consuetudine con i costruttori ha naturalmente accompagnato a un approccio “costruttivo” nei confronti dei nostri futuri. Infinite le iniziative da lui messe in campo, sia funzionali al suo incarico istituzionale, sia applicate ai più ampi ambiti della sostenibilità, del business, e particolarmente dell’alfabetizzazione digitale. Il tutto in spirito di assoluta trasversalità disciplinare: l’apertura alle nuove tecnologie, l’attenzione alle opportunità ancora nascoste nella vita di tutti i giorni richiedono un coraggioso cambio di mentalità per il quale non tutti siamo ancora pronti. D’altra parte adagiarsi su categorie già collaudate è un meccanismo naturale, della cui automaticità è però difficile accorgersi e tanto più liberarsi. Ma è giusto ricordarci che le categorie e gli schemi mentali di oggi non possono in alcun modo essere applicati ai progetti per domani.

Nel fiume in piena dell’entusiastica autopresentazione della Weltanschaung di Millevoi,  riferisco un suo esempio alquanto illuminante: fino a un certo punto i fabbricanti di carrozze, per farsi concorrenza, furono concentrati unicamente sulla migliore efficienza di ingranaggi collaudati da tempo o sull’impiego dei cavalli migliori. Finché qualcuno immaginò l’automobile. E’ proprio di salti di qualità come questi che ha bisogno l’umanità.

Ma queste “sorprese” sono più frutto di fantasia o di immaginazione? La fantasia è autoreferenziale, magari fine a se stessa, mi ricorda il mio interlocutore; l’immaginazione punta invece a risultati concreti. E’ solo grazie all’immaginazione che sono nati la ruota o l’ombrello. E allora mi ricordo che nell’etimologia di “immaginazione” c’è un riferimento a quel plus che deriva dalla mimesi, dall’imitazione della realtà, dalla lettura produttiva di un bisogno che la realtà nasconde e che prima o poi, grazie a una o più menti attente,  appagherà rivelandolo.

Di questo singolare professionista illuminato, le cui riflessioni mi hanno prima stordita poi entusiasmata, una piccola confessione mi ha commosso su tutto: nei suoi innumerevoli incontri programmatici con le più svariate categorie di persone, ciò che lo ha sorpreso, oltre all’attenzione professionale e scientifica da parte dei suoi vari uditorii, è stato il bisogno della gente di contatto umano, ciò che lui ha definito il senso di comunità.

Tra i nostri futuri possibili,  forse non dovrebbe mancare proprio questo: un tempo in cui le persone torneranno ad ascoltarsi e a guardarsi negli occhi. Perché la vera sorpresa del futuro – di ogni futuro- resta lui, l’essere umano.

 

31 gennaio 2023

 

 

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