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NONOSTANTE I CAPPELLINI

L’estinzione dei simboli. Quanto ci mancano, quanto ne siamo affamati, quanto ne è povero il nostro tempo senza più incanto e magia. La parola “simbolo” deriva da un verbo greco che significa tenere insieme. In origine il simbolo era la tessera dell’ospitalità, un anello o un altro oggetto che veniva spezzato in due a ricordare l’ospitalità data e ricevuta fra due persone: una metà ciascuno e il  simbolo le teneva unite per sempre, sanciva una relazione amicale. Poi il simbolo è diventato il segno di una relazione fra due “cose”: arcobaleno come simbolo di pace, fede nuziale come simbolo di amore eterno, corona come simbolo di regalità.

Elisabetta II è diventata in settant’anni simbolo di una nazione, di un popolo, di un’epoca intera. Però non è vero che ci sono sempre piaciuti i suoi cappellini, al contrario. Quando uno muore, re o straccione che sia, diventa subito santo, ha solo pregi e virtù, se ne dimenticano  vizi e difetti. Per quei cappellini e quei completini dai colori impossibili l’abbiamo presa in giro eccome, benché oggi tutti parlino di una “icona di stile”. Però alla fine anche i cappellini sono diventati un simbolo: il simbolo di qualcosa che non cambia mai, che è impermeabile alle mode e alle alterne vicende della vita, qualcosa che può rimanere sempre saldo e uguale a se stesso.

E’ per questo che tutto il mondo ama e piange Elisabetta II. Sì certamente l’amiamo per la fedeltà al suo paese, per la coerenza del suo impegno, per l’equilibrio emotivo, la fermezza, l’autorevolezza, il sorriso… Ma anche per la sua longevità non solo temporale, quanto appunto d’immagine, e pertanto simbolica. Così uguale a se stessa pur nel corso di sette decenni, stava lì a garantirci che forse sulla terra è possibile l’eternità.

Poi, certo, si muore, e muoiono anche i re e le regine. Ma non senza aver “tenuto insieme” tanti insignificanti qualcosa e tanti smarriti qualcuno, non senza essere diventati simbolo di quel Bisogno universale di Senso che ci affratella tutti.

La compostezza, il cerimoniale, i riti, le formule magiche, le coreografie, i gesti: diciamoci la verità, a noi apparivano bizzarri, astrusi, muffosi, tremendamente fuori tempo. Ebbene, c’è qualcosa, in questo nostro tempo, che prova nostalgia di un’uscita dal tempo, di qualcosa che resista immobile sulla terra, a garantire l’esistenza di un cielo. E allora i riti, i gesti, le formule e anche i cappellini diventano ganci per accedere a una specie di paradiso surrogato. Al di là del suo ruolo di capo della Chiesa d’Inghilterra, Elisabetta ci ha ricordato il nostro bisogno di sacro, quanto siamo smarriti senza un oltre da immaginare. Sacerdotessa laica di un’epoca immemore di se stessa, l’austera regina ha consolato il nostro “ e cammina cammina cammina” purtroppo ormai lontano dalle favole.

 

9 settembre 2022

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