Dike, la dea della giustizia, per gli antichi era vergine e la ragione è fin troppo palese. Fa parlare di sé oggi la notizia secondo cui quei camorristi che nel 2000 vicino Napoli uccisero “per errore” e sciolsero nell’acido un giovane scambiato per un loro bersaglio, oggi offrono per risarcimento alla famiglia sessantamila euro e alcune proprietà. E fa ancora più notizia il fatto che la famiglia della vittima abbia rifiutato.
Dove c’è più giustizia? Nell’orgoglio dei familiari fermi nel non voler avere nulla a che fare con dei camorristi, benché apparentemente pentiti, o nel cuore dei camorristi in carcere, verosimilmente pentiti solo in funzione di uno sconto di pena? Forse non c’è giustizia da nessuna delle due parti: i parenti delle vittime scontano un dolore assurdo che presumibilmente sconfina tuttoggi con la paura (una paura che le brave persone delle regioni infestate dalla camorra devono fronteggiare quotidianamente, e che è di per sé intimamente ingiusta); i camorristi spacciano la loro “generosità” per una altrettanto assurda – e ingiusta e folle- presunta compensazione al male compiuto.
La verità è che nessuno di noi può davvero permettersi la giustizia, la sua verginità. E’ giusto pertanto che rimanga una dea, così come nelle fantasticherie degli antichi: astratta, sacra e dunque intoccabile, forse irrealizzabile.
Quante volte abbiamo assistito, amplificate dalla televisione, alle proteste rabbiose di parenti di vittime di efferati delitti (di camorra, di stragi, o anche di semplici incidenti) scagliarsi contro la mitezza della condanna. Ergersi a giudici. In quel caso la vergine giustizia si lascia violentare da un comprensibile senso della vendetta. Eppure, in attesa del processo, con le migliori intenzioni, quegli stessi parenti dichiaravano di non desiderare vendetta, ma solamente giustizia. Quante volte abbiamo assistito a sentenze emesse ad hoc per colpire esponenti politici… In quel caso la vergine giustizia si lascia sporcare da biechi interessi di parte…
Se nei nostri sogni la giustizia rimane vergine, tale rimane solo per continuare ad essere violentata, strattonata da una parte e dall’altra, inevitabilmente usata per interessi più o meno nobili. Ma questo lo sapevamo già. E per quanto è “giusto” che essa rimanga avvolta dalla sua stessa inafferrabilità, è altrettanto giusto che un suo fantasma sopravviva, nascosto da qualche parte nell’animo umano: il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me, scriveva il filosofo Immanuel Kant. Quella legge, quella giustizia, non scritta fisicamente da nessuna parte, è la nostra unica possibilità di riscatto o compensazione che dir si voglia. E quando invochiamo “solamente giustizia”, cerchiamo allora di non tradire proprio con quell’avverbio, tutto quanto vorremmo spacciare per giustizia ma che con la giustizia non ha nulla a che fare.
Dunque non aspettiamoci solamente giustizia, ma perfino giustizia. Nonostante tutto.
18 aprile 2023