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PERSONE

A Roberto F.

Quante ne incontriamo, nel corso degli anni, di persone. Dai maestri di scuola ai capiufficio, dai negozianti vicino casa agli amministratori di condominio, dagli albergatori ospitali alle conoscenze occasionali sul treno, dai medici di base ai baristi, e poi poeti e cassiere di supermercato, giornalai e musicisti, farmacisti e parroci di campagna… E colleghi di lavoro. Persone alla cui presenza quotidiana e al cui ruolo essenziale ti abitui a tal punto da considerarli parte naturale dell’ambiente che ti circonda, da non accorgerti quasi più di loro se non quando, per una ragione o per l’altra, escono di scena.

Alcuni anni fa è “uscito di scena” uno dei miei colleghi della radio. Tecnico del suono, persona semplice e amabile, caustico e provocatorio ma con misura, e tuttavia sempre serissimo e affidabile sul lavoro. Una garanzia di professionalità. Non ci si frequentava fuori dalla radio, se non in qualche occasione mirata, ma posso dire che tra lui e me, così come tra lui e molti altri colleghi, correva un’energia di stima reciproca, la considerazione condivisa dei rispettivi impegni, che erano comunque tra loro complementari: noi redattori preparavamo le trasmissioni, i tecnici ne curavano la confezione e la messa in onda. La sintonia e il rispetto erano essenziali perché il meccanismo funzionasse con regolarità e nell’apprezzamento pubblico.

Da quando Roberto non c’è più sono rimasta in contatto con la sua famiglia, più di quanto non sia stata in contatto con lui: l’altro ieri suo figlio -che molti di noi ricordano bambino- si è sposato. Non mi spiego la ragione di questa frequentazione affettuosa con moglie e figli di un collega con cui, pur nella stima di cui sopra, non avevo particolare confidenza, ma del resto che bisogno hanno i sentimenti di essere spiegati?

Riflettevo però sul fatto che i legami tra noi persone seguono a volte percorsi inediti, laterali, apparentemente casuali, certamente non canonici.

L’uscita di scena di Roberto ha reso più evidente la sua serietà sul lavoro, e non in quanto nessuno abbia potuto replicarla, ma in quanto nessuno potrà mai “inscenarla” in quel modo unico che era esclusivamente suo. Quando era in vita, Roberto non mi mancava, perché sapevo che, in caso di necessità, lo avrei trovato comunque al suo posto. Affidabile e disponibile. C’era. Ora che è morto, non posso dire che la sua presenza mi manchi allo stesso modo in cui mancherà per esempio a sua moglie e ai suoi figli: posso dire in compenso che la sua presenza appare a me, come a tanti che lo hanno conosciuto, ancora più importante di prima, proprio in quanto lui non c’è più. Una autentica epifania. Come un calco in negativo, la morte accompagna conoscenze superficiali praticate solo in funzione del lavoro o di altre circostanze verso la percezione profonda del valore e dell’esempio di chi viene a mancare.

E’ il ruolo del basso nell’orchestra: se presente, non si fa notare; quando assente, ci folgora la necessità umile ed elegante del suo ruolo.

Roberto alla consolle, tacitando improvvisamente le sue battute caustiche, divertenti e irriverenti, si vestiva di colpo di serietà, ci insegnava la serietà : quella del suo lavoro, e pertanto della sua persona, del valore che dava alla vita. E solo ora la vedo, quella sua persona importante, raccolta dentro una figura esile e modi comunque garbati.

E così un sentimento “laterale” si sviluppa e si accresce gradatamente nel tempo, esattamente come gradatamente tu aumentavi il volume dei tuoi cursori alla consolle, caro Roberto: anche oggi, guardando la foto di tuo figlio appena sposato, penso che a volte la morte non ci sottrae nulla, piuttosto ci dona qualcosa. Anzi molto.

 

24 aprile 2023

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