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PIANGIAMO PER I MORTI GIUSTI

Giorni fa è iniziato a circolare sui social il seguente post di Alessandro Gassmann: “Leggo che il Globe Theatre di Roma, non potendo essere restaurato, sarà abbattuto. Roma ha perso i suoi teatri più belli: Valle (chiuso da anni), Eliseo (fallito), delle Arti, Cometa (destinato ad altro uso), più tanti più piccoli, e ora il Globe. Una capitale senza teatro perde ricchezza, e non può più essere considerata capitale. Una città abbandonata, che non si ama più. E’ un lungo inverno di cui non si intravede la fine. Rimarranno solo ristoranti, BB, paninoteche e stuzzicherie… La città più bella del mondo non lo è più. Rip.”

L’amaro necrologio ha ottenuto, come era prevedibile, fiumi di consensi, adesioni e condivisioni, anche perché è facile di questi tempi trovare ottimi motivi per piangere, in tanti  campi. Vorrei però rispondere a Gassmann e al suo coro di anime in pena:

Non potrebbe darsi che i teatri chiudano perché vi vengono rappresentate sempre le stesse cose (che oramai non piacciono più a nessuno), perché non viene lasciato spazio a giovani autori, perché vanno in scena sempre gli stessi testi con gli stessi interpreti,  perché mancano temi accattivanti, legati ai problemi di oggi, perché, pur essendo eterno, il teatro oggi sa di vecchio?

Nel famoso film di Luigi Magni In nome del papa re, che racconta gli ultimi giorni del potere temporale dei papi, il protagonista, monsignore lucidissimo e consapevole, dice: “Qui non finisce perché arrivano gli italiani, qui gli italiani arrivano proprio perché è finita”. Parafraserei così: “non è finita perché muoiono i teatri. I teatri muoiono perché è finita”. E’ finita la cultura, sono finiti il senso civico, il decoro, il rispetto degli altri…  E soprattutto sono finite le idee.

Infatti laddove ci sono idee, dove c’è spazio per creatività e iniziativa giovanile (per esempio nella gastronomia che Gassmann mostra tra le righe di disprezzare) non si piange affatto la chiusura dei locali. Anzi, si plaude a un settore sempre più attivo e produttivo. Che magari chiamerà in causa aspetti volgari come la necessità di cibarsi, che tuttavia continua a rappresentare un punto fermo in tutte le epoche della storia umana. Esattamente e forse più (Gassmann se ne faccia una ragione) del teatro.

Lamentarsi della perdita dei contenitori di cultura significa non voler vedere ( o non poter accettare) che si sono persi i contenuti.

Accettiamolo. E piangiamo per i morti giusti. Che non sono i teatri, ma quei valori che in quei teatri non abbiamo più da condividere. Oggi prevalgono altri valori e forse altri teatri: il web, le stuzzicherie, perfino i supermercati. E’ lì che avviene comunque qualcosa. E’ lì che oggi la gente si muove e si incontra. Facciamo in modo che avvenga qualcosa di nuovo, che ci si incontri in modo nuovo. Indietro non si torna.

 

7 ottobre 2023

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