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PIU’ A OVEST DELL’OVEST C’E’ L’EST

Per ascoltare invece di leggere:

Alcuni giorni fa ho percorso occasionalmente un tratto del G.R.A., il Grande Raccordo Anulare che circonda Roma (oggi in realtà ne è anche circondato). Per me è un evento raro (vivo e lavoro all’interno dell’anello e in questo caso andavo all’aeroporto di Fiumicino a prelevare una persona di rientro dall’estero). So che invece molti, al contrario di me, percorrono quella che ufficialmente si chiama “Autostrada A90” anche due o più volte al giorno, per recarsi al lavoro, in quanto vivono o appunto lavorano al di fuori dell’anello.

E’ un curioso “monumento” questo tratto autostradale, nato nel dopoguerra a sostegno dello sviluppo edilizio e delle infrastrutture, e la cui ideazione si deve peraltro all’ingegner Eugenio Gra (!!!), il cui cognome ispirò proprio l’acronimo G.R.A.

E’ un monumento che c’è e che non c’è, invisibile e insieme necessario, presente e assente, che fino a qualche decennio appunto fa abbracciava Roma e che ora ne è anche abbracciato, a causa della tumultuosa espansione della città oltre le proprie stesse mura e periferie verso tutti e quattro i punti cardinali: in pianta sembra un ragno oppure una grande stella, con le zampe o i raggi che sono i tracciati delle grandi vie consolari.

Uno dei miei sogni è girare liberamente in tondo sull’anello senza doverne uscire per raggiungere una qualche destinazione precisa. Solo per ripassarmi la geografia urbana delle strade e rileggere sui cartelli verdi delle uscite numerate i loro nomi altisonanti che riportano alla storia di Roma antica, ricordandoci che, se “tutte le strade portano a Roma” è anche vero che tutte le strade partono da Roma, e conducono a luoghi, storie, ricordi…

Aurelia: è giugno, ho sette anni e si va a Fregene sulla cinquecento celestina di mamma.

Boccea: ci abitava il mio amico portoghese Fernando, che pronunciava “Bousceia”.

Cassia: era la destinazione preferita di mio padre, quando proponeva qualche avventurosa gita fuori porta, per pranzare in trattoria.

Flaminia: ci sono le chiuse del Tevere: guardandole ti ricordi che è un fiume che attraversa vallate, campi, poderi, contadi…

Salaria: l’aeroporto dell’Urbe, gli uffici della motorizzazione, e quelle povere ragazze con le cosce nude…

Nomentana: le memorie del Risorgimento. Garibaldi arriva a Mentana e i suoi sfondano a Porta Pia.

Tiburtina: di qui in lontananza vedi gli “alberi pizzuti” del cimitero del Verano. Affacciava qui il terrazzo del mio amico Muskio che a Capodanno sparava a quei cipressi con la sua carabina.

Prenestina: gli osceni piloni della tangenziale, con le finestre delle case affacciate sulla carreggiata.

Casilina: il tram giallo, se vai avanti arrivi fino a Torre Angela… c’era un arco antico a mattoni, ma lo hanno abbattuto per costruire la metro linea C. E c’erano tante altre cose e tante altre emozioni, tra queste palazzine graziose coi loro giardinetti…

Tuscolana: Cinecittà era un paese, intorno era soltanto campagna, adesso invece ci sono palazzi, svincoli, centri commerciali.

Appia: da qui si arriva a Brindisi. E’ la stessa via che in centro passa in mezzo ai ruderi e alle catacombe e conserva il lastricato antico.

E poi Ardeatina, Laurentina, Pontina, via del Mare… Da qui si arriva a Ostia, lasciando alle spalle la Colombo, i grattacieli dell’Eur, per ricordarci che Roma comunque non è mai troppo lontana dal suo mare.

E così, se parti da ovest ritorni a ovest. Geometria elementare. Ed è tutto qui il mio sogno. Girando in tondo, trovare conferma che più a est dell’est c’è l’ovest, o che più a ovest dell’ovest c’è comunque l’est, e che le direzioni alla fine sono soltanto un‘illusione.

Qualcuno ha girato un film, rubando il mio sogno, una decina di anni fa. Io non lo realizzo mai questo semplice progetto perché al di là delle colonne d’Ercole della cerchia urbana la mia guida automobilistica diventa incerta e timorosa. E difficilmente trovo complici disposti ad accompagnarmi girando a vuoto intorno a Roma. Il film documentario si intitola Sacro Gra, ha ricevuto un Leone d’Oro alla Mostra di Venezia ed è diretto da Gianfranco Rosi: un intenso reportage sulla vita delle persone che vivono o lavorano a ridosso dell’anello. Non a caso il titolo riecheggia il Sacro Graal, il leggendario calice nel quale fu raccolto il sangue di Gesù: le storie narrate da Rosi sanno di sangue e lacrime, pur non essendo cruente, ma comunque spesso drammatiche. Come il Graal, il G.R.A. è un cerchio, un calice che accoglie e contiene, da cui si possono sversare storie, prospettive, sacrifici…

Mi chiedo dove risieda la mia fascinazione per questo singolare monumento stradale (peraltro replicato in molte altre città). Forse nel fatto che all’inizio voleva “rinchiudere” e poi si è dovuto rassegnare a veder crescere la sua protetta (Roma) oltre se stesso e oltre essa stessa… Destino simile a quello di un genitore, che per un po’ si illude di poter “contenere” un figlio e poi lo vede sfuggirgli via in tutte le direzioni. Forse la mia attrazione per questo anello di asfalto sta nel fatto che è insieme contenitore e contenuto. Come quando due insiemi matematici si sovrappongono: chi contiene chi? Che cosa contiene che cosa? Ed è veramente neutro lo scambio? E il centro resta centro, ora che le periferie si sono espanse? Forse la mia seduzione risiede però principalmente nel fatto che quando lo si percorre,  si ha l’illusione di andare dritti, mentre invece si sta girando in tondo.

Ecco, la provocazione maggiore del G.R.A. passa per la geometria e sfida l’autocoscienza. Quando ci intestardiamo in una stessa, ostinata direzione (verso un medesimo scopo perseguito con dedizione esclusiva, con sacrificio, eroismo, impegnandovi tutte le nostre energie) dovremmo ricordarci che, visti dall’alto, per esempio da un drone, forse non stiamo andando così lontani come ci illudiamo di andare, ma che stiamo girando più o meno sempre nello stesso punto, come criceti in gabbia. La dittatura della linea retta permea del resto tutta la nostra vita. A cominciare dagli sguardi. Creiamo linee rette per addomesticare alla varietà della natura le nostre modeste categorie mentali. E ci inventiamo missioni, propositi, obiettivi, traguardi per addestrare la nostra limitata “capienza” spirituale al mistero dell’infinito. Che ci circonda e che forse noi stessi, senza accorgerci, circondiamo.

Nella realtà, tutto quello che facciamo non ci sposta di un millimetro da quell’eterno presente che mentre lo viviamo ci sembra una condanna, mentre sarebbe la nostra più grande libertà. Un po’ dell’eterno ritorno celebrato da Nietzsche, un po’ dell’universo in espansione di Einstein mi sfiorano mentre mi avventuro, raramente da sola, su un tratto dell’A90, ricordandomi che, anche se penso di “andare dritta per la mia strada”, lo spazio e il tempo girano con me e per me. E allora capisco perché da bambini abbiamo tanto cantato “giro giro tondo”…

21 febbraio 2024

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