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PRETI DI IMPORTAZIONE

Per ascoltare invece di leggere:

Domani è domenica e, volendo, si potrebbe andare a Messa. Io agnostica, a volte vado, senza capire, senza sentire, se non per commuovermi al momento della comunione, quando si forma quella coda paziente e numerosa di persone meste, che a duemila anni di distanza, ancora accolgono lo struggente invito a cena di Gesù. Mi chiedo anche, fra quelli, quanti vanno all’altare realmente consapevoli, quanti invece si mettono in coda come per ricevere un vaccino o una dose del farmaco dell’immortalità. Come che sia, vanno. A raggiungere il prete che, porgendo l’ostia, ogni volta ricorda: “E’ il corpo di Cristo”.

Cristo si è dato per tutta l’umanità. Dunque è giusto e bello che quel prete a volte sia uno straniero: asiatico, africano, latinoamericano… E anche che quella frase sia pronunciata spesso nella nostra lingua con una pronuncia distorta.

Ma a me questa cosa fa una brutta impressione. Da madre di famiglia, da massaia che fa spesso la spesa, sono abituata a controllare la provenienza dei prodotti soprattutto alimentari. Il mercato globale è una gran cosa, ma ci ha fatto perdere le specificità locali, da qui l’esigenza di valorizzare i prodotti IGP, o  quelli cosiddetti a chilometro zero, di preferire merluzzi e gamberetti provenienti dai nostri mari piuttosto che dal Pacifico.

Non voglio certo paragonare i nostri sacerdoti a zucchine, vongole o cavolfiori, ma è impossibile dimenticare il vecchio parroco di campagna, quel don Camillo che era originario dello stesso paese di cui curava le anime, e che le conosceva da sempre. Impossibile non rimpiangere questa fusione tra chiesa e quartiere, ancora sperimentabile fino a qualche decennio fa in Italia e in Europa. Il parroco conosceva il circondario, forse era addirittura nativo della zona, condivideva con la gente usanze, abitudini, conoscenze, cultura, lingua, dialetto, perfino pettegolezzi, non soltanto una religione. Del resto la religione anche su questo si incarna, sulle piccole cose di ogni giorno. Più sono condivise, più diventano elementi importanti per la fede di tutti.

Oggi i nostri parroci o vice parroci, gli stessi diaconi che distribuiscono l’eucaristia non parlano o parlano male la nostra lingua, vengono da lontano. Nelle nostre chiese c’è sempre un tocco di esotico. Il che va benissimo se si invoca l’universalità del messaggio cristiano, se si vuole dar merito al grande lavoro di evangelizzazione di tanti missionari, se si vuole sposare lo spirito paolino secondo cui “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Ma ad essere sinceri, se nei nostri paesi, nelle nostre piccole chiese dei nostri paesi  l’omelia è detta non con l’accento locale, ma con un accento indiano o ispanico, che rende anche difficile la comprensione di quando il prete dice, questo vuol dire che da noi i preti scarseggiano, e che la chiesa italiana è costretta ad attingere a bacini più freschi di vocazioni.

Al funerale di mia zia Maria, un giovane sacerdote del Kerala si fece diligentemente raccontare per chi si doveva celebrare il funerale. Zia Maria era molto religiosa e finché in salute andava sempre a messa, ma questo giovane prete neppure la conosceva. E se anche l’avesse conosciuta meglio, non avrebbe potuto recepire o comunicare tante sottigliezze spirituali, per esempio in confessione, non padroneggiando per niente la nostra lingua…

I preti di importazione fanno quello che possono, e danno certamente il loro sincero e generoso contributo al sostegno della nostra illanguidita chiesa italiana, ma paradossalmente incoraggiano l’allontanamento dei fedeli, quell’inevitabile senso di alienazione e difficoltà che prende al momento di aprire il proprio cuore a uno che non condivide la nostra storia.

E’ una fotografia malinconica del decadimento spirituale di tutto l’occidente. La crisi di vocazioni non svuota solo i conventi ma anche le chiese. E a loro volta le chiese svuotate generano sempre meno vocazioni. Qualcosa vorrà dire. La Chiesa, in Italia, sarà anche in cammino, ma forse è da chiedersi se la direzione sia quella giusta.

 

1 febbraio 2025

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