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La recente festa dell’Immacolata Concezione, uno dei dogmi della chiesa cattolica e insieme uno dei misteri più vertiginosi del cristianesimo, ci pone domande sulla purezza. La Vergine fu preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Unica creatura terrestre nata senza quella macchia che ci segna tutti, inclusi i santi.
La parola purezza deriva da “pur” fuoco: nell’antichità era il fuoco l’unico agente sterilizzante davvero efficace. E deve esserci qualche relazione col fatto che Dio Spirito Santo è fuoco: il consolatore ma anche il purificatore, forse. E deve esserci qualche relazione anche col fatto che si manifesti come lingue di fuoco proprio di fronte alla Vergine e agli apostoli riuniti nel cenacolo.
Però non voglio addentrarmi in questioni teologiche più grandi di me, tutt’altro… Mi chiedevo che genere di purezza possiamo permetterci oggi tutti noialtri. Ben poca, specie se ci guardiamo intorno, se pensiamo a quanto abbiamo infestato, contaminato, inquinato, avvelenato, consumato e corrotto del pianeta terra, casa nostra. E all’ostinazione con cui continuiamo a farlo, nonostante tutti i proclami e le buone intenzioni.
Specialisti di sporcizia, ci anneghiamo dentro. Una sporcizia fatta di scarti velenosi, di oggetti inutili abbandonati, di eccesso di beni mal sfruttati e deteriorati. Ma anche e soprattutto di compromessi, maneggi, meschinerie, piccoli e grandi raggiri, furberie, angherie più o meno dichiarate, sfruttamento dei sentimenti altrui, doppi giochi e giochetti. Eccolo, il nostro peccato originale più radicato: quello che neppure riconosciamo, il nostro naturale impasto di bene e male.
Pensavo alla purezza (pulizia assoluta, quasi metafisica) e ho rivisto i tristi mesi del covid, con procedimenti sanificatori maniacali e obbligati. Con quei costanti lavacri di mani, eravamo divenuti tutti Pilato di fronte alla condanna della pandemia, tutti pronti a lasciar crocifiggere l’untore. Terrorizzati dal contagio, nell’ossessione della sanificazione e della sterilizzazione, abbiamo perso di vista però l’essenziale.
La purezza non è asettica, neutrale, distante. E’ originaria e …comunitaria. Per illuderci di rinascere puri, ovvero di rigenerarci davvero (di rinascere!) noi umani dovremmo permetterci più a fondo di sporcarci, lasciandoci cioè percorrere da batteri, polvere, insetti invisibili… Chi non prova questa contaminazione, chi non conosce il male, non sarà mai pronto a scansarlo.
Pulire è un verbo transitivo: bisogna transitare su sentieri polverosi, riempirsi i sandali di terriccio, attraversare il fango, in ultima analisi riconoscere l’errore, il dramma, la colpa….
Nelle nostre stanze da bagno non si vedono più le saponette. Solo sapone liquido dai dispenser. La società liquida si merita il sapone liquido. Ed è più igienico, ci viene insegnato dai maître à penser contemporanei. L’antiquata saponetta passava di mano in mano: togliendo lo sporco a me, lo raccoglieva su di se, restituendolo sulle mani di chi la adoperava per lavarsi dopo.
Ma la pulizia, e tanto più la purezza, non possono essere così solitarie, indurci al solipsismo, accompagnarci in un mondo di monadi. Un tempo, per conquistare la pulizia, dovevamo resistere allo sporco e ai batteri reciproci, vaccinarci di questa umana mescolanza per poterci dire davvero vittoriosi. In ultima analisi anche lo sporco è un valore sociale, la polvere un medium universale, che mescola scaglie di pelle, briciole di pane, avanzi di cellule, peli di cane, zampe di ragni… Che unisce i tre regni: minerale, vegetale, animale
Forse l’originarietà della purezza, la forza del candore stanno nell’accondiscendere a questo purgatorio di sporcizie miste. Stanno nell’accettarle, abituandoci al senso di ciò che è terrestre, per sua natura impuro. Non potendo essere veramenteoriginaria, la nostra pulizia “umana” almeno avrà conosciuto ciò di cui liberarsi.
11 dicembre 2023
Acqua azzurra acqua chiara, Lucio Battisti