Per ascoltare invece di leggere
Sarà forse un filtro ideologico dovuto alla civiltà dell’informazione -o piuttosto della pan-informazione- a suggerirmi un pensiero: all’origine di ogni conflitto c’è un tabù, qualcosa che viene inevitabilmente o artatamente taciuto. (O perlomeno non sufficientemente spiegato, soprattutto alla gente comune, ovvero a quei cittadini che a un certo punto si vedono costretti ad imbracciare le armi).
Alla vigilia della seconda guerra mondiale non dovevano essere pochi quelli che si erano resi conto dei folli propositi di Adolf Hitler. Eppure tra questi, molti tacquero. Per convenienza, per paura, per ragioni diplomatiche, per interessi commerciali, perché non avevano pulpiti dai quali gridare le loro ragioni. Eccetera.
Nella seconda guerra del Golfo, quando nel 2003 fu invaso l’Iraq con lo scopo di disarmare il paese dalle armi di distruzione di massa non si levarono voci sufficienti a convincere l’amministrazione Bush che forse queste armi non esistevano. (E infatti non furono mai trovate, né ne fu provata l’esistenza). In quel momento prevalse il silenzio sull’insignificante particolare che l’esistenza di tali armi non era una certezza, ma solo una supposizione. O piuttosto una scusa per invadere un paese sovrano.
Tucidide racconta che la guerra del Peloponneso tra Sparta e Atene si scatenò a causa dell’eccessivo potere di Atene e del timore che suscitava nelle altre città: ma possiamo essere certi che questo potere, in quanto tale, non veniva mai riconosciuto in quanto uguale e contrario al potere di Sparta. Nessuno si curò di manifestare il dato fin troppo ovvio che entrambe le città avevano ugualmente bisogno di nuove terre per sopravvivere, ma certamente da entrambe le parti si sorvolò sul fatto che queste esigenze fossero identiche, e che nessuna delle due aveva diritto di prevalere sull’altra. E così via.
All’origine di ogni guerra c’è insomma un difetto di comprensione della realtà: reale o indotto. Ecco perché la comunicazione ha un ruolo così importante al pari di un arma di distruzione di massa. La comunicazione in guerra diventa propaganda ed è difficilmente contrastabile se non con altra propaganda uguale e contraria, sicché tirando la linea alla fine vincerà non chi lancia missili più potenti, ma chi diffonde falsità – o sottolinea verità – più comode da credersi.
Anche tra Israele e Iran ci sono “bambini” che potrebbero gridare il re è nudo. Ma vengono imbavagliati prima che il corteo si metta in marcia, prima che il re scenda in piazza, prima del prima, insomma. Ci sono realtà di fatto talmente evidenti, nonché scandalose, che si sorvola sulla loro esistenza con la coscienza a posto. Sono talmente evidenti e scandalose che possiamo, dobbiamo fare finta che non esistano. Guardando di necessità da un’altra parte per i soliti motivi di cui sopra: convenienza, paura, ragioni diplomatiche, interessi commerciali, presunta mancanza di uditori sufficientemente autorevoli che prendano sul serio i nostri allarmi o le nostre ribellioni…
Questi silenzi pilotati sono le armi più pericolose. Uccidono le persone facendole restare in vita capaci di digerire qualsiasi ipocrisia istituzionalizzata, qualsiasi favola teologico-politica, impedendo a tutti noi di riconoscere nei genocidi di oggi l’oscena replica di quelli di ieri.
17 giugno 2025
Beatrix Mohler
Perché non si può criticare la politica di Netanyahu senza essere attaccati? Il popolo subisce la guerra come tanti altri popoli, tutt’ altro è la politica del loro governo!