Per ascoltare invece di leggere:
L’ingresso del papa in basilica vaticana, nei giorni scorsi, coperto da una specie di poncho ha colpito molti di noi, credenti e non. Chi, credente o no, è rimasto sgomento, è stato tacciato da molti di essere un bigotto retrogrado, più attento alla forma che alla sostanza, incapace di provare solidarietà e simpatia per il vecchio papa che, essendo malato, si è presentato “umilmente” in pubblico in quanto tale. Ebbene, io sono fra questi bigotti, pur non essendo particolarmente credente.
Il punto è che ad essere stato più attento alla forma che alla sostanza è stato proprio il papa. Ha cambiato veste. E il messaggio che è arrivato alla cristianità è che lo abbia fatto di proposito. Non che sia uscito di casa “come si trovava”, no. Leggo su La Nuova Bussola Quotidiana l’intelligente sottolineatura del fatto che la veste bianca del papa, di ogni papa, non serve a evidenziare la persona che la indossa, ma piuttosto a nasconderla. Perché quella persona significa Dio, non se stessa. Il bianco annulla, assomiglia allo zero, al vuoto, nega qualsiasi richiamo terreno, sensibile, storico, visivo… Insomma simula la nudità. Rifiutare la veste bianca per sostituirla con un altro indumento, e per di più con un indumento non qualsiasi, ma alquanto vistoso e dotato di una precisa connotazione etnica, che poi finisce per diventare squisitamente, dichiaratamente politica, significa voler richiamare l’attenzione su di sé come persona. Sulla propria storia, sulle proprie origini, sulla propria personalità, sulla propria sofferenza… Spogliato della “nudità simbolica” della veste bianca, il papa si è addobbato della propria sofferenza, apparendo così più nudo che se si fosse presentato davvero nudo. Ha tradito, mettendolo in evidenza, un inopportuno personalismo. E sappiamo che non è la prima volta.
Sofferente, Giovanni Paolo II rimase sempre impeccabilmente vestito. Rinunciatario, fino alla fine anche Benedetto XVI ha sempre mantenuto la veste addosso. I simboli non sono forma, sono “sostanza teologica”.
La parola “veste” ha la stessa radice di “investitura”: entrambi i termini alludono a una copertura. Sulle spalle del cavaliere veniva apposto un drappo, che non era soltanto segno di nobiltà, ma che doveva momentaneamente occultarlo come individuo, significando così il suo annullamento in quanto persona, la sua devozione a una causa.
Dispiace che nessuno dica “il re è nudo”. In questo caso che nessuno dica al papa “il papa è nudo”. I casi sono due: o nessuno osa farlo, oppure dentro il Vaticano la confusione e la sciatteria sono ormai regola. Infatti anche in quella corte di segretari, assistenti e infermieri che lo scortava in basilica c’era qualcuno in maniche di camicia.
Dispiace infine che a rilevare certe sfumature sia, tra i tanti, una come me, agnostica suo malgrado. E dovrebbe dispiacere anche che certe “sviste” finiscano proprio per incoraggiare agnosticismo e disamore.
13 aprile 2025