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QUARTA

Il dolore non si può realmente con-dividere, al massimo qualcuno che ci è vicino vi può “partecipare”. Lo può comprendere, consolare, alleviare… Ma la regola purtroppo è che si soffre da soli. Per questo soltanto il dolore, fisico o morale, ci ricorda veramente chi siamo, ci mette di fronte alla nostra finitezza e nello stesso tempo alla nostra grandezza. Dal punto di vista di chi soffre, la realtà è questo muro, l’isolamento cui il male ci condanna, la prova cui ci sottopone.

Ma al punto di vista di chi vede soffrire, la prospettiva si ribalta: ferma restando l’impossibilità di patire al posto di qualcun altro, sembra che il muro possa diventare trasparente, che lo si possa scavalcare di slancio, solo con la forza del sentimento. E’ un’illusione, eppure anche questa illusione testimonia da un lato il limite della natura umana – “ognuno è solo sul cuor della terra” – dall’altro la grandiosa possibilità di comunicare, di scambiarci il meglio che abbiamo. Fosse anche solo un gesto di compassione.

Il dolore è la misura della vita, la sua condizione (si nasce nel dolore, si muore nel dolore) e  proprio e solo all’inizio e alla fine della vita il nostro dolore si sovrappone intimamente a quello di qualcun altro: gli spasmi di chi ci ha messo al mondo, le lacrime di chi ci seppellirà.

Quarta stazione: Gesù incontra sua madre. Nonostante tutto, l’incontro nella sofferenza è quello più autentico e più definitivo. Il dolore ci separa, e nello stesso tempo ci unisce a qualcun altro, smascherandoci nella perfetta nudità dei nostri limiti, delle nostre reciproche distanze. E in qualche cosa salvandoci.

 

28 marzo 2023

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