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QUELLI CHE … IL VOCABOLARIO

 

Per ascoltare invece di leggere :

Vi è mai capitato di leggere il capitolo di un libro, o anche un testo, dove l’attacco è costituito dal ricorso al vocabolario e alla dotta citazione di un lemma? Per esempio, il libro o l’articolo deve trattare, che so, della vita in campagna  o della siderurgia e l’autore, prima di mettere in campo le sue idee, si aggrappa al vocabolario e sfodera la definizione.

Campagna s. f. [lat. tardo campanea, campania, propr. agg. neutro pl., der. di campus «campo). Estesa superficie di un terreno aperto, fuori del centro urbano; il termine è correntemente riferito a territorî di pianura o di bassa collina, corrispondenti in genere all’antico contado etc etc

Siderurgìa s. f. [dal gr. σιδηρουργία «lavorazione del ferro», comp. di σιδηρο- «sidero-» e -ουργία «-urgia»]. – L’insieme delle tecniche che hanno per scopo la produzione e la prima lavorazione del ferro, della ghisa, dell’acciaio e delle ferroleghe, fino alla produzione di semilavorati quali lingotti, billette, lamiere, ecc.

Personalmente provo un’istintiva irritazione per questo esordio che richiama automaticamente il dettato della lingua. Intanto mette una barriera inutilmente dotta fra chi scrive e chi legge, o fra chi parla e chi ascolta. E’ come se chi scrive o parla dicesse: non so che cosa dire e allora eccovi la definizione. Ipse dixit. Mi aggrappo al significato, tanto per incominciare a raccogliere e ordinare le idee. Segno che le sue sono poche o quantomeno confuse. E soprattutto sembra anche che, ricorrendo al vocabolario, chi parla o scrive abbia paura di non saper governare da solo la più bella virtù del linguaggio, ovvero del pensiero: le sfumature. Quello che c’è tra le righe.

Alla definizione delle parole io preferisco la loro etimologia. Dentro ogni parola c’è una storia, una stratificazione di pensieri, un percorso di civiltà. “Definizione”, per esempio, è una parola che ha qualcosa in comune con “termine”, a sua volta sinonimo di “parola”. “Definizione” viene da “definire”, che contiene la parola “finis”, fine. Chi definisce circoscrive, limita, mette un con-fine. Nella parola “termine” compare lo stesso concetto: “termine” significa anche “fine”. Ogni definizione, in ultima analisi ogni termine, ogni parola, chiude qualcosa, se ci si limita a darle un unico significato, se non se ne vogliono accettare o leggere altri. Definire le parole, aggrapparsi ai loro significati come da vocabolario tradisce la paura di non saperli governare, di non sapersi abbandonare alle meraviglia della loro ambiguità, come ci insegna la poesia e in genere l’arte. Tradisce la presunzione che la lingua sia scolpita nel marmo e non muti mai, mentre invece evolve giorno per giorno e si trasforma come il profilo della spiaggia modellato dalle onde.

Le parole ci sono. Usiamole con libertà, senza andare in cerca di un unico, de-finito significato. Ma prima di usarle, facciamo attenzione a come le usa chi ci sta parlando. In che contesto, con che spirito, con quale tono di voce… L’ascolto, la lettura attenti potrebbero suggerirci qualcos’altro che fino a ieri non avevamo preso in considerazione, potrebbero aprire uno spiraglio su un pensiero nuovo. Facciamo sì che ogni parola non sia un termine, una fine, ma un principio. Un principio di dialogo. Anche a scapito di quanto stigmatizza un vecchio e …muffoso vocabolario.

 

3 dicembre 2023

 

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