In questo emisfero siamo pieni di cose. “Cose” è una parola generica ma rende alla perfezione la pienitudine di cui siamo affetti: articoli da regalo, dispositivi tecnologici, strumenti di bricolage, strumenti di tortura, detersivi per il bucato e per l’anima, attrezzi da giardino, attrezzi sportivi, libri pubblicati, libri ancora da scrivere, celebri dipinti, album di fotografie…
In mancanza di cose tangibili, ci riempiamo di cose astratte: progetti, previsioni, elucubrazioni mentali, visioni apocalittiche, utopie, leggi fisiche, ipotesi sull’antimateria, progetti per le vacanze, rimpianti di amori, ricordi di morti…
A ben vedere, non siamo mai qui e ora. E neppure siamo mai poveri in canna. Abbiamo sempre un appiglio per potercene andare da un’altra parte, qualcosa che riesce comunque a strapparci dal momento presente permettendoci una distrazione, una consolazione, un alibi, una fuga.
Il presente non ci appartiene mai, e la privazione ci spaventa. E così, gravati di orpelli inutili, di mascheramenti, di bagagli pesantissimi, siamo sempre in viaggio verso un altrove: un altro tempo e un altro luogo. Ovunque, tranne che qui e ora.
Un angelo in veste di fanciulla mi ha suggerito giorni fa di fermarmi invece proprio là da dove mi impegno quotidianamente a fuggire: nel presente. Col solo bagaglio leggerissimo di quella me stessa privata di aspettative, di sfide, di previsioni, di progetti e anche di speranze. Orfana del passato e anche del futuro.
E che mi resta? – avrei voluto chiederle. Ma conoscevo già la risposta: “non ti resta niente”.
E così ho provato a seguire il consiglio. Che poi è lo stesso di Scorate, di Budda, di Gesù, di Seneca, di san Francesco… Mi sono affacciata sul vuoto, e con le mani vuote. Non pensavo fosse così semplice. Quasi nessuno lo fa mai. A proposito del vuoto circolano infatti tanti pregiudizi. Che provochi vertigini, giramenti di testa, attacchi di panico…
Mi sono affacciata e riaffacciata sul vuoto. Ho fatto io il vuoto dentro, sentendomi guscio cavo, ospite disponibile a ogni possibile visita angelica, a qualsiasi perturbazione dell’universo, scansandomi per far spazio all’eventualità dell’imprevisto. Vuoto dentro e vuoto intorno.
E’ uno strano allenamento, per quelli come noi sempre in transito verso una destinazione, anche pretestuosa, fieri di progettare ciò che comunque accadrà anche indipendentemente dai nostri sforzi.
Il vuoto ci ricorda che siamo grandissimi, infiniti in tutte le possibili direzioni: profondi e vertiginosamente alti, con aperture alari smisurate, fratelli di tutto quello che non conosciamo e da cui dunque, a torto, ci facciamo spaventare.
L’allenamento al vuoto ci ricorda così che siamo tutti figli del vuoto, che il vuoto ci circonda e che noi stessi circondiamo il vuoto. Che solo il vuoto ci permette di abbracciarci e di abbracciare le cose più lontane. E che solo il vuoto tramuta il lontano in vicino: sistole e diastole, battere e levare, contrarre e distendere, cercare e trovare…
Per questo guardare il vuoto è come tornare a casa. E’ come tornare a respirare…
Per questo ringrazio l’angelo in veste di fanciulla per essersi trovata sulla mia strada, portatrice di un promemoria talmente semplice e talmente immenso.
21 luglio 2023
Cristina
Grazie mille, l’articolo mi ha regalato un’occasione per soffermarmi su un argomento così importante