Fa caldo e di notte può capitare di non riuscire ad addormentarsi e di cercare refrigerio uscendo in balcone o in terrazza. A Roma, se si è fortunati, ci si può imbattere nell’arrivo dei furgoni AMA per lo svuotamento dei cassonetti dei rifiuti e osservare così dall’alto tutta l’interessante procedura, totalmente meccanizzata. In genere un autista è alla guida, un secondo sorveglia che il singolo cassonetto venga correttamente agganciato dalla carrucola, issato, e svuotato nel container.
La notte scorsa, preda di un attacco di caldo, mi sono affacciata giusto in tempo. Il camion arriva, aggancia e scarica i primi due cassonetti, ma il terzo e il quarto non sono perfettamente allineati nella giusta “rotta di aggancio”, e il camion allegramente si allontana, lasciando due cassonetti svuotati e due pieni. Gli addetti non sono tenuti a fare di più: devono guidare il mezzo e sorvegliare il corretto aggancio del cassonetto, punto. Se l’aggancio è impossibile per cause di cui non sono responsabili, passano oltre. In tali condizioni non sta a loro il completamento dell’operazione e men che meno liberare il marciapiede da ulteriori rifiuti sparsi.
Che la mattina dopo certamente aumenteranno, perché evidentemente i cittadini, dopo il rapido riempimento dei primi due cassonetti, troveranno ancora stracolmi gli altri due. E così il marciapiede si riempirà inesorabilmente di sacchetti multicolori e maleodoranti depositati alla meno peggio. Alla raccolta di questo secondo genere di rifiuti sono addetti altre categorie di dipendenti e di automezzi che, come ben possono constatare tutti i romani, purtroppo non sono in servizio quotidianamente. Né di giorno né di notte.
Sappiamo che sullo smaltimento dei rifiuti si sta giocando una partita decisiva delle nostre società opulente: che a un’overproduzione corrispondesse tanto e tale overscarto non è stato immaginato per tempo e non sono stati presi tempestivi provvedimenti, almeno da noi, in una città come Roma, dove un terribile incrocio fra responsabilità mancate e ottusità burocratiche sta trasformando la capitale in una discarica a cielo aperto.
Qualcuno pragmaticamente suggerisce: il dipendente AMA che non svuota integralmente il cassonetto deve essere multato. Ugualmente, il cittadino che non deposita regolarmente il suo sacchetto rifiuti dentro il cassonetto ma sul marciapiede deve essere multato. Piazziamo telecamere ad ogni raccolta rifiuti e vedremo da dove inizia il circolo vizioso: chi pecca per primo sarà perseguito più pesantemente.
L’ipercontrollo sembra ormai l’unica soluzione alla catena dei doveri e delle responsabilità mancate, al perduto senso civico. Da una parte l’impiegato ottusamente fiscale che non fa nulla che oltrepassi le sue mansioni. Dall’altra il menefreghismo del cittadino che, pur di svuotarsi casa ( giustamente) dalla spazzatura, deposita i suoi scarti dove capita, insensibile al decoro del quartiere. Soluzione: lo spione elettronico, la telecamera, la sconfitta della ragionevolezza e del buon senso. I controllori controllano i controllati, i controllati controllano i controllori che controllano i controllati… E via di questo passo. Sembra proprio tornare d’attualità il Panoptikon di Jeremy Bemtham, il carcere perfetto progettato (per fortuna solo progettato) nel ‘700, e che ha ispirato tanti autori contemporanei: il controllore universale, il super Grande Fratello. E poi cianciano di privacy. Ma non sarebbe più semplice che ognuno si ricordasse qual è il fine ultimo del proprio lavoro, o di un gesto apparentemente senza conseguenze compiuto con disinvolto menefreghismo? Per anni abbiamo preso la leggendaria figura dello spazzino comunale come esempio di un lavoro tra i più umili e misconosciuti. Eppure c’è, ancora oggi, chi prende come missione il mestiere più in apparenza degradante, chi se ne cura fino in fondo, senza perdere di vista l’obbiettivo finale. Il segreto sarebbe restituire dignità e valore a tutto ciò che si fa, nel proprio piccolo: per se stessi, per gli altri, per il mondo. In questo modo il gesto più apparentemente insignificante e il più grande impegno planetario possono cambiare peso e consistenza a seconda della prospettiva. Ma invece di perseguire chi manca della giusta prospettiva, rieduchiamo alla responsabilità, ciascuno la propria. Invece di installare obiettivi e telecamere, reinstalliamo sguardi, consapevolezze, rispetto reciproco
Parole, certo. E allora, in una città come Roma, difficilmente gestibile in tanti campi, non resta forse che spazzare via le inutili, onerose, polverose circoscrizioni e darsi almeno quattro sindaci. Chi lo sa, potrebbe funzionare. Quattro città in una. Come ai bei tempi della tetrarchia, al tramonto dell’Impero. Inevitabile finale di una civiltà divenuta troppo estesa perfino per se stessa.
29 luglio 2022