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SCAVANDO SCAVANDO

Le immagini della visita del papa a Matera mi hanno riacceso i ricordi sulla città dei Sassi e sulla sua architettura capovolta, che invece di edificare scava. Le chiese rupestri, reinventate dentro la roccia, complete di colonne, rifiniti capitelli, perfette volte ed affreschi confermano quanto, per andare in alto, non sia sempre necessario salire fisicamente. Si può anche scendere.

E questo nostro, in fondo, è proprio un tempo di discesa. Di degrado, decadenza, latente sconforto: ma anche in questo paesaggio storico-esistenziale deve essere possibile costruire qualcosa. Le grotte di Matera, rifugio naturale fin dalla preistoria per uomini e animali, sono diventate abitazioni e luogo di culto nel medioevo. Però i capomastri e i muratori del tempo non hanno avuto bisogno di pietra, calce o mattoni: hanno semplicemente domato la materia già esistente. E il medioevo è un’epoca che molti hanno assimilato all’attuale. Dunque forse c’è ancora speranza: non potendo più aggiungere, accrescere, incrementare, edificare (perché i materiali costano, perché le merci tardano a circolare a causa della crisi energetica, perché iperprodurre significa incrementare il problema degli scarti e della loro eliminazione) si può trovare una valida alternativa, se non una soluzione definitiva a molti dei nostri problemi, nell’addestrarci a diminuire, sottrarre, scartare, riciclare. Less is more, dicono gli inglesi. Anche i più grandi capolavori scultorei sono nati così. Michelangelo liberava la forma imprigionata nel marmo scartando l’eccesso di materia che la occultava alla vista. Scendendo (non escluso in noi stessi), possiamo riconquistare l’attenzione a ciò che abbiamo incoscientemente seppellito sotto strati di indifferenza.

Gli anni del benessere in occidente e dell’horror vacui ci hanno allontanati dall’essenziale: l’architettura in negativo ha in questo molto da insegnarci. In ciò che appare vuoto e informe ci attende la bellezza, purché siamo capaci di riconoscerla e portarla alla luce. E così l’era della troppitudine è forse la vigilia del nostro ritorno all’armonia. Gillo Dorfles nel suo Horror pleni – La (in)civiltà del rumore (Castelvecchi, 2008) esprime “l’incoraggiamento all’uomo (alla donna) d’oggi di affermare la propria autonoma individualità, ristabilendo tra sé e il prossimo, tra la propria epoca e la successiva, tra le azioni quotidiane e le creazioni artistiche quella pausa, quel between, senza il quale l’umanità rischia di precipitare nell’orrore d’un ‘pieno’ non più frammentabile e dominabile”.

Tranquilli, però. Ciò che è vuoto diventerà pieno, ha detto più di millecinquecento anni fa il filosofo Lao Tze.  E’ una certezza valida in ogni tempo. Perfino nel nostro.

 

25 settembre 2022

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