Si dice che se ci capita di dover portare un peso sulle spalle, riusciamo a trovare anche la forza per sopportarlo. Necessità fa virtù, pare. Nei momenti di emergenza, si sono viste pecore trasformarsi in lupi, gattini diventare pantere. E rinoceronti tramutarsi in farfalle.
Poi c’è chi porta un peso e alla fine non si accorge neanche più di portarlo. Anzi, arriva a considerare la propria schiena bassa come normale condizione di vita, tanto che, se improvvisamente gli si alleggerisse il carico, forse impiegherebbe un po’ di tempo per crederci davvero, per riconquistare la posizione eretta. C’è un quantum di sofferenza nella vita di ognuno, al quale siamo conformati per il fatto stesso di nascere. Vivere è portare il peso di se stessi. Però, paradossalmente, più le condizioni si fanno ardue (in una favela, in un campo profughi, su un barcone di migranti, in seguito alla perdita di una persona cara, durante un bombardamento, nel fondo di una galera, in un letto d’ospedale, dall’inferno della pazzia etc) più appare chiaro che il senso della vita non può ridursi a quella croce, ma che quella croce è il prezzo per acquisire qualcos’altro. Per salire una spanna più su verso la comprensione di qualcosa, verso la restituzione di un significato da condividere con altri. C’è chi si danna a cercare il perché del male nel mondo, del dolore innocente. Ma forse il dolore è il prezzo per ritornare innocenti.
Seconda stazione: Gesù è caricato della croce. Il sudore goccia per terra. Qualcuno passa e lo calpesta. Il dolore è spesso misconosciuto. A volte frainteso e deriso. Croce su croce.
26 marzo 2023