Maternità surrogata. Scontro in televisione, ora anche in Parlamento e dovunque, a seguito delle esplosive dichiarazioni della Ministra per le pari opportunità, natalità e famiglia Eugenia Roccella: “Adesso faremo una legge contro l’utero in affitto (…) . In Italia l’utero in affitto è vietato e ne è vietata anche la propaganda. In Europa ci sono addirittura delle fiere. Oggi può costare sui 100 mila euro e alle donne, nei Paesi dove è legale, ne arrivano 15/20 mila. Si tratta di decidere se una maternità possa essere una questione di mercato”. La ministra ha anche ricordato che per la legge italiana, per adottare un bambino servono (ancora) un padre e una madre.
Reazioni inorridite da parte della intellighenzia corrente progressista e illuminata, comunità LGBT, famiglie arcobaleno, maîtres à penser della più diversa estrazione. Non aprirò qui una questione etico-sociologica, che comporterebbe l’approfondimento di infinte problematiche su cui disinvoltamente si sorvola. Vorrei porre solo due domande a coloro che oggi orripilano.
La prima è una curiosità, forse anche un po’ morbosa. I genitori di bambini nati da uteri in affitto spiegheranno un giorno ai loro figli come sono effettivamente venuti al mondo? Con quale particolare procedura, diversa (sia pure “fieramente” diversa) da quella ordinariamente perseguita fino a qualche anno fa? O preferiranno calare un velo pietoso, o allegramente glisseranno, non ritenendo la questione essenziale? L’immaginazione della famosa “scena primaria” (il rapporto sessuale fra genitori “ordinari”) pare abbia generato non pochi problemi, negli anni, a schiere di psiconalisti e psicoterapeuti. I genitori “alternativi” quale “scena primaria” lasceranno intravedere o daranno per scontata o al contrario eviteranno di evocare ai loro figli, ritenendo la modalità della loro nascita assolutamente trascurabile? E come la metteranno quando invece le domande di bambini informati sulla biologia – che pare sia sempre la stessa- si faranno inevitabilmente più stringenti?
Seconda domanda. Come fanno i fieri sostenitori della maternità surrogata a sorvolare –di nuovo, e stavolta con intenzione- sul fatto che tale procedura fa mercimonio del corpo femminile? Come fanno a scandalizzarsi delle donne velate, delle donne schiavizzate, delle donne pornografate, delle donne sfruttate o fatte a pezzi, e non delle donne che si prestano a prestare il loro utero? Risponderanno che tali donne sono consenzienti. Come fanno allora a non vedere in questo un consenso comunque estorto, al pari di quello delle pornostar? Come fanno a non inorridire di fronte a un commercio così spudorato? Perché due pesi e due misure?
La risposta è chiara: perché in questo caso vendere e comprare una donna è funzionale all’esercizio di un presunto diritto. Non mi importa che sia o non sia un buon diritto o un diritto a torto preteso in quanto contro natura o contro quanto un tempo consideravamo “natura” o altro. Mi importa che a questo diritto non corrisponda, mi pare, nessun dovere. E lo affermo, mi si permetta, da donna. Che è madre e che è stata anche figlia.
20 marzo 2023
Antonella Crocetti
La penso esattamente come te