C’era l’epoca di “nella misura in cui”. Poi è venuto il tempo di “un attimino”. Più o meno contemporaneo a “cortesemente”. “Cortesemente non intasate il water”. (Ma che fine ha fatto il più sincero “perfavore”?) Poi c’è il pretenzioso “mi taccio” ( da quando in qua “tacere” è un verbo riflessivo?), o l’uso storpiato del “piuttosto che” come congiunzione…. Oggi è il tempo di “fondamentalmente”. Tutte le altre pigrizie linguistiche e locuzioni abusate erano a modo loro portatrici di senso: l’attimino allude al tempo minimo indispensabile. E sia. “Cortesemente” si sostituisce appunto a all’obsoleto“perfavore”… Eccetera.
Ma “fondamentalmente” …che cosa vuol dire? Fondamentalmente niente. E’ il niente verbalizzato, aria fritta, rumore di sottofondo creato ad hoc per riempire un silenzio imbarazzato, per dar tempo al parlatore di riorganizzare le idee. In un certo senso una novità linguistica. La parola-fantasma. La parola senza significato.
Ma se a qualcuno serve tempo per pensare prima di parlare, non sarà che non è molto convinto di ciò che sta per dire? “Fondamentalmente” tradisce tutto il nostro horror vacui, la nostra incapacità di ascoltare il nostro nulla interiore, l’urgenza di riempirlo di un apparente qualcosa, pur di dire qualcosa. “Fondamentalmente” finisce così per svuotare una frase già vuota, per svelare la debolezza del significato, la vacuità dell’intenzione.
E’ del resto un avverbio sufficientemente lungo e sufficientemente modulare per essere usato spesso, e soprattutto inoffensivamente (non altera il senso di ciò che segue e tanto meno quello di ciò che precede). Ma basterebbe proprio questo particolare a far capire che la sua neutralità non è una virtù, quanto piuttosto un vizio da cui tenersi alla larga: una parola-riempitivo non rafforza il contesto: lo diluisce. In un discorso bene strutturato i termini jolly sono velenosi: allontanano il senso vero, gli tolgono efficacia e mordente. E ci ricordano che “termine” allude a “fine”: o in una parola finisce una realtà, un autentico qualcosa, o in quel “termine” terminerà il miracolo di una comunicazione trasparente e sincera.
Non a caso, difficilmente questo avverbio-prezzemolo compare in testi scritti. In compenso lo si sente di frequente nei discorsi, come insensato, a volte nevrotico intercalare.
Attenzione dunque alla tentazione di parlare solo per produrre rumore, per intrattenere l’interlocutore, per stordirlo di suoni e non di idee, nel tentativo di apparire lucidi e pensanti. Alcune parole che sgusciano quasi da sole fuori dalle nostre bocche, soprattutto al di là delle nostre intenzioni, dovrebbero ricordarci che prima di parlare… è sempre meglio tacere. Fondamentalmente, si intende.
6 gennaio 2023