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TRE TELE BIANCHE

Me le hanno portate in dono ieri due cari amici. Due membri della mia famiglia estesa. Due amici per tre tele. A me manca sempre il tre, per arrivare al due. Aporie della matematica del cuore. Il mio, che va sempre fuori tempo. Perché tra le tante cose che ho fatto nella mia vita, devo ancora imparare a fare la musica, a rispettare il ritmo.

Guardo le tre tele bianche e mi ricordo mio padre che davanti a quella distesa di nulla dove ogni segno o rappresentazione gli sembrava possibile, prima di mettere mano ai pennelli aveva i capogiri. Prima di incominciare, il possibile ci atterrisce sempre. Il possibile è un mistero. Cerchiamo di sedurlo tutta la vita, per accorgerci alla fine che l’unico possibile è il reale, quello nel quale siamo immersi e al quale non badiamo mai: ci sfugge lui pure dalla nascita alla morte, per lasciarci alla fine nel mare aperto della nostra solitudine.

Tre tele bianche, tre possibilità. Mi chiedo inutilmente se e come le riempirò mai. Scegliendo quale soggetto, sporcandole con quale tentativo di rappresentare una volta per tutte quello che provo, quello che penso, quello che vedo, quello che sono, smascherandomi definitivamente.

Tre tele, tre specchi. Tre stagioni della vita: il prima, il dopo e l’adesso. Il sorriso ironico di ogni possibilità, di nuovo. Mi basterebbe prendere il telefono, mi basterebbe chiedere perdono, mi basterebbe mettermi per quel sentiero, mi basterebbe dire quella parola. Oppure…. Mille altre opzioni, alternative e scelte. Però basterebbe decidere, fare un gesto, riconoscere l’essenziale e lasciar cadere tutto il resto, senza rimpianto. Basterebbe diventare finalmente attenti a tutto, incluse le ombre che sembrano allontanare la verità e invece la disegnano in negativo. Ma servirebbe occhio, appunto. Occhio e cuore e anche orecchio. Forse sarebbe sufficiente quello strano coraggio che assomiglia alla paura di amare fino in fondo.  E lanciarsi, come il tuffatore, nel blu. Blu fino in fondo.

Blu, Blue. Anzi blues.

 

29 gennaio 2023

 

 

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