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Lo stesso amico ingegnere che mi aggiorna sull’inquietante sviluppo dell’I.A. e dei microprocessori da essa progettati, indecifrabili dagli stessi scienziati, mi passa la più confortante notizia sullo sviluppo dei robot domestici, inoltrandomi questo video.
L’amico mi scrive: “I Robot Domestici Helix che sostituiranno tra breve i modelli già in vendita da un paio d’anni (tra l’altro a costi abbordabili) sono davvero impressionanti. A due di essi viene consegnato il contenuto di una busta della spesa con merce che non hanno mai visto prima. L’uomo chiede loro di capire dove vanno messe questa merce e di sistemarla. Tra le cose che colpiscono c’é la collaborazione tra le due macchine (che si scambiano sguardi d’intesa in modo per me davvero inquietante) passandosi gli oggetti”.
Perché i robot sono così inquietanti pur nella loro indiscutibile simpatia? Perché ci assomigliano, come le scimmie. Perché ci illudono (un tempo solo nei racconti o nei film di fantascienza, oggi nella realtà) che non siamo soli su questa terra. Solo che le scimmie ci ricordano la nostra bestialità, il nostro passato bruto, mentre i robot ci illudono sul nostro aureo futuro, sulla nostra grandezza o presunta tale, sulla possibilità di avere qualcuno/qualcosa creato da noi, che valga un po’ meno di noi (almeno fino a prova contraria) e sia a nostro totale servizio.
Ma se la missione di un robot domestico è di essere appunto nostro “servitore”, precisamente come un’automobile o un tostapane, ovvero di servirci in determinate circostanze e funzioni, più o meno generiche, più o meno specifiche, perché mai viene puntualmente progettato sempre in forma umanoide?
Fin dai primordi di queste fantasie tecnologiche (letteratura, cinema) il robot è comunque un uomo metallico, un agglomerato di circuiti in forma comunque umana.
Questo realismo fantastico seduce la scienza robotica fin dall’inizio della sua storia. E incanta anche noi, potenziali utenti. Evidentemente siamo tutti eredi del dottor Jekyl. Tutti, sotto sotto, aspiriamo a dominare su un nostro simile meno evoluto. (O ritenuto tale sempre fino a prova contraria). Salvo poi spaventarci a morte figurandoci apocalissi tecnologiche in cui le macchine prendano il sopravvento.
E’ vero, i robot umanoidi appaiono familiari e anche eleganti. Perfino simpatici. Ma non si potrebbero ottenere gli stessi risultati con macchinari non necessariamente di forma umana, magari meno ingombranti e più agili? Nella chirurgia robotica, non si replicano certo le mani del chirurgo; si impiegano invece strumenti dall’aspetto banalmente meccanico ma decisamente più performanti ed efficaci nelle aree delicate e circoscritte dei nostri corpi entro cui devono operare.
Si progettano in forma umanoide i robot domestici perché si integrino meglio negli spazi umani, mi spiega l’amico ingegnere. Ma sarà davvero questa l’unica ragione? O nelle menti dei progettisti di robot covano inespresse smanie pigmalioniche e teatrali? Certamente un umanoide è più scenografico di una lavatrice o di una scopa elettrica, davanti alle quali però quasi a nessuno sono mai venute fantasie apocalittiche. Forse non solo in ciascuno di noi sonnecchia un dottor Jekyl, ma anche uno schiavista, il desiderio cioè di avere potere di vita e di morte su qualcuno che ci obbedisca senza discutere, nonostante il pensiero dominante politicamente corretto condanni a ragione ogni forma si sfruttamento sui nostri simili. Evidentemente, non potendoci sfogare sul nostro prossimo, preferiamo crearci un “altro” meccanico per soddisfare questo nostro mai sopito e segreto bisogno di dominio. Salvo poi spaventarci della nostra stessa ombra al pensiero che questo “altro” meccanico arrivi ad assomigliarci dove non deve, riuscendo a replicare non solo i nostri gesti, sostituendosi alle nostre fatiche, ma manifesti le nostre pulsioni più incontrollabili e negative, fino a sopraffarci.
Quando da bambini ascoltavamo la fiaba di Cappuccetto Rosso, in un certo senso godevano dell’arrivo del lupo, ci gustavamo quel momentaneo terrore che sapevamo comunque prossimo a dileguare grazie all’imminente lieto fine.
Il fratello robot così vagamente simile a noi ci aiuta e un po’ ci spaventa: è giusto così. Deve ricordarci che il progresso non è precisamente una fiaba. E che il lieto fine non è sempre assicurato.
28 febbraio 2025