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UN AMBIGUO CONFINE

Per ascoltare invece di leggere:

Informazione: in questa parola risiede una delle più paradossali contraddizioni del nostro tempo. A riprova che forse scontiamo ancora l’eredità delle comari di paese, quelle che si appostavano dietro le persiane a spiare i vicini e gli stranieri di passaggio, per carpire novità, dicerie, pettegolezzi. Di quel morbo, nel bene e nel male, non siamo guariti. Ne siamo vittime e nello stesso tempo vorremmo guarirne. Ne siamo agenti e nello stesso tempo ce ne facciamo una colpa, vorremmo purificarci dalle sue miserabili tracce.

Telecamere: ovunque. Per fortuna oppure no. Ti travolgono mentre passi col verde a un semaforo e la telecamera inchioda il colpevole che invece è passato col rosso. Menomale. Ti baci con l’amante in un posto che ritieni sicuro e la telecamera va in soccorso al detective assoldato da tuo marito. Porcaloca.

Privacy: parola magica. Striscia gialla in farmacia: non oltrepassare la linea. Non devi sapere se quello avanti a te ha bisogno di un’aspirina oppure di una supposta lassativa. Giusto. Ma tanto, a meno che il tizio non bisbigli al farmacista come al prete in confessionale, le sue necessità ti arrivano comunque. Strisce gialle per gli orecchi ancora non ne hanno inventate.  

Il distanziamento lo abbiamo implementato grazie al Covid, ma eravamo molto esperti anche prima. Sala d’attesa dello studio medico: sei una bomba H di batteri perché hai l’influenza (proprio perciò vai dal medico) e per senso civico ti siedi il più possibile lontano da una mamma con due bambini che attende la visita come te. Scegli di spostarti fatalmente vicino al punto accettazione, proprio lì dove la solerte segretaria prende appuntamenti e interagisce coi pazienti. “Signora, per la privacy, la prego di spostarsi lontano da qui”. Lontano dove? E poi quale privacy? L’ambiente non è una pista d’aeroporto. In ogni caso torno ubbidiente al posto in cui ero prima, vicino alla mamma coi bambini, dove posso ascoltare comunque tutto delle conversazioni fra segretaria e pazienti, ammesso ne sia in qualche modo interessata.

Che cosa è più importante? La privacy o la protezione della salute altrui? La burocrazia è un cancro che invade i cervelli più vuoti, attenzione, salvatevi finché siete in tempo.

E dell’autorizzazione al trattamento dei dati personali, che dire? Ora devi firmarla anche quando ricevi uno scontrino al bar. Ma nella tua casella email o sui pop-up che ti si aprono magicamente sul telefonino arrivano ogni giorno centinaia di messaggi pubblicitari, misteriosamente in sintonia con i tuoi interessi e con le tue più recenti ricerche.

Controlliamo e siamo controllati. Ci informiamo e siamo materiale informativo. Sappiamo tutto e tutti sanno tutto di noi, dei nostri gusti, delle nostre abitudini, dei nostri reconditi vizietti. Il mondo è pornograficamente in vetrina in una perenne fiera delle vanità cui nessuno si sottrae (televisione, social…), però ufficialmente ci raccontiamo di una asettica, rispettosa discrezione che dovrebbe permeare i nostri rapporti personali, la nostra presenza nel mondo.

Il cancro della burocrazia, che dovrebbe purificare perfino le nostre intenzioni, ne incoraggia un altro, inesorabile: l’ipocrisia dei pensieri. Grazie alla quale riusciamo a fingere perfino con noi stessi di essere “giusti” sia quando spiamo gli altri tendendo l’orecchio, sia quando siamo sottilmente fieri di esibirci comunque, anche solo sperando nei famosi quindici minuti di notorietà profetizzati da Andy Wharol.

Il diritto all’informazione è diventato una trappola. Politicamente corretta, ma pur sempre una trappola. Per uscirne, servirebbe il diritto alla disinformazione.

 

3 luglio 2024

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