Niente di nuovo sotto il sole: come tutte le “signore” io non seguo il calcio. L’altra sera però ha destato la mia attenzione uno strano urlo del telecronista durante la partita Lazio/Atletico Madrid in corso all’Olimpico. Non era il solito urlo di entusiasmo e di meraviglia per un goal inaspettato che capovolge le sorti di una partita (in fondo ogni goal è sempre inaspettato, proprio in quanto sommamente atteso, da una parte e dall’altra) e di questa stranezza mi sono accorta perfino io, che non seguivo la diretta, visto che per l’appunto non mi interesso di calcio.
Come tutti sanno, c’è stato effettivamente un goal, ma decisamente atipico per almeno due motivi: si era al novantunesimo minuto (altro che zona Cesarini!) e l’aveva realizzato …il portiere! Nessun autogoal: era proprio il portiere avversario!
Nelle mie scarsissime cognizioni calcistiche c’è una certezza: che il portiere è l’estrema difesa della squadra, che deve fare un blocco unico di pali e muscoli con la propria porta, dalla quale non può allontanarsi mai, e che dunque è -o dovrebbe essere- la persona più lontana dalla porta avversaria.
E invece.
Mi viene spiegato che nessuna regola impedisce al portiere di lanciarsi in attacco, e che, una volta abbandonata la propria porta, diventa in pratica il giocatore numero 12. Uno in più (tralasciando il fatto che in questo modo la sua squadra se ne troverà uno in meno: appunto il portiere). Lasciata la porta, il portiere perde, come tutti suoi compagni, l’uso delle mani, mentre può fare con i piedi o con la testa quello che gli pare, specialmente se la partita è ormai agli sgoccioli, e se, avendo subito già un goal come nel caso dell’altra sera, incassarne un altro non cambierebbe di un pelo le sorti della classifica.
Il goal a sorpresa compiuto dal portiere della Lazio Ivan Provedel contro l’Atletico Madrid mi ha fatto di colpo appassionare al gioco del calcio. Non tornerò indietro. Da ora in poi non guarderò più stancamente solo qualche partita della Nazionale per dovere “patriottico”. Quel goal mi ha insegnato il senso e la bellezza dell’Imprevisto.
Mi sforzo di immaginare che cosa mai abbia spinto Provedel a mettersi a correre improvvisamente nella metà campo avversaria. Sembrava posseduto: sembrava muoverlo una irrefrenabile disperazione, una specie di protesta. Forse aspettava ormai il fischio di fine, si era stancato di “fare la guardia” e basta.
Solitamente penso al portiere di calcio con un senso di pena. Gli altri dieci spingono di gambe, muscoli, fiato, sudano, si spintonano, rotolano a terra, sfogano la tensione. Lui al massimo saltella e al momento giusto si tuffa per evitare l’irreparabile: tutto il suo sudore è mentale, di attenzione alla temibile traiettoria della palla, quando gli si avvicina. Insomma quelli corrono di gambe e lui corre di testa. Quelli faticano, lui si stressa.
Pensiamoci: è il più frustrato degli undici. Glorificato se riesce a parare, maledetto se il goal lo coglie di sorpresa. Per giunta, se la sua squadra è forte, la partita rischia di si svolgersi tutta nell’altra metà campo: in tal caso rimane solo, inattivo, annoiato, perfino con un vago senso di …inutilità esistenziale
L’imprevista “ribellione” di Provedel, che in un attimo di puro istinto ha cambiato il proprio ruolo (e per giunta ha fatto centro), mi ha aperto un mondo. Non solo sul ruolo dei portieri e delle persone presunte inutili, ma sulla …bellezza del disordine.
Solitamente siamo tutti tenuti a recitare la nostra parte, a stare al nostro posto. A rispettare le gerarchie, le funzioni, gli incarichi etc etc etc. In qualsiasi struttura lavorativa, se qualcuno si sognasse di cambiare di colpo le carte in tavola, assumendosi le funzioni di un altro, molto probabilmente si scatenerebbero reazioni negative, proteste, disorientamenti etc.
Il calcio contemporaneo ci ha inoltre abituati all’importanza degli schemi: ogni partita sembra oggi l’esito di uno studio tattico strategico previo, dove l’eventuale estro del fantasista viene tollerato solo se ha buon fine. Quante volte abbiamo assistito all’insofferenza dei c.t. di fronte al protagonismo di una punta. (Io conosco solo un conflitto, quello fra Spalletti e Totti, che venne inspiegabilmente “frenato” dall’allenatore, il quale mal sopportava, evidentemente, certe libertà del campione ritenute da prima donna).
Ma lo stesso calcio, regno supremo delle regole ovvero della geometria (fuorigioco, calcio d’angolo, rimessa laterale…. Tutto risponde a traiettorie, calcoli, distanze, precisione estrema…) ci insegna oggi che a saperle violare, le regole diventano il trampolino di lancio per qualcosa di assolutamente nuovo. Anche se perfino il nuovo, una prodezza così aparentemente eversiva, può essere a sua volta frutto di un calcolo, di una strategia, come avrebbe spiegato lo stesso Provedel…
In ogni caso tutto può succedere, sempre. Nel bene e nel male, ovviamente. Ce lo ripetiamo spesso, ma non sempre siamo consapevoli di quanto a volte, noi stessi, possiamo essere protagonisti dell’esito repentinamente mutato di una situazione. Forse lo sanno inconsciamente gli stessi tifosi, ed è questo uno dei motivi della fascinazione che il calcio esercita su tanti: il senso del possibile, del rischio, l’incertezza … tutto “giocato” intorno a una palla, oggetto-simbolo dell’infinita, casuale mutazione degli eventi, che rotolano tendenzialmente dove capita e che tuttavia possiamo illuderci di governare…
“Tutto può succedere” è il mantra di chi si lascia andare al destino, deresponsabilizzandosi e trovando un alibi per rinunciare a combattere. La palla rotola dove vuole… Lo strano goal di Provedel mi ha fatto capire che il destino non esiste. E che siamo sempre noi a far succedere quel tutto. Viva dunque la fantasia, il coraggio, l’estro e la disperazione dell’ultimo minuto. Tutti possiamo fare goal.
20 settembre 2023