“Agitato, non mescolato”, specifica James Bond 007 ordinando il suo cocktail Vesper in Casino Royale (Ian Fleming) anno 1953.
La differenza è sostanziale.
Anche le civiltà tendnono a muoversi le une verso le altre, mentre un mescolamento lento e inarrestabile, benché inizialmente inavvertito, le accompagnerà inevitabilmente verso un nuovo stato di consapevolezza condivisa, punto di evoluzione per tutta l’umanità.
Vesper, èsperos in greco, cioè Sera: dalla comune radice Vas, coprire, da cui Veste, Vaso. La sera copre il sole e la luce, vela le coscienze, ci sigilla nel sonno, contiene i sogni, protegge l’indicibile.
Ma ogni copertura allude e insieme svela: allude a un contenuto, ne prepara l’epifania, agitando tra loro elementi che apparirebbero fermi e immescolabili, obbligandoli al contagio e al confronto, preparando così il futuro.
C’è una sera che aleggia sul mondo, dalle ere più remote: l’ora di questo agitarsi quieto di uomini e energie che ci ricorda per paradosso il suo inevitabile contrario, ovvero la fine del tempo, la consumazione di tutte le cose.
Nella parola Sera c’è la radice sa, che allude a un ritardo. L’attardarsi fino all’ultimo bagliore del giorno, per non farsi sfuggire scampoli di luce. O forse la “tardità” in sé, intesa come “ultimità” della giornata, estremo limite in cui poter raccogliere il vissuto, riassumendo le conquiste e le sconfitte, gli incontri e le scoperte, dando un senso ai pieni e ai vuoti delle ultime ventiquattro ore, prima che venga notte.
In tedesco la parola Sera ritorna nella parola Occidente: AbendLand, la terra della sera. E’ a occidente che la sera accade ogni sera, è occidente il punto verso cui possiamo volgere lo sguardo per osservare, ogni sera, la replica del tramonto, pantomima e promemoria del distacco definitivo.
In ogni paese di mare, in ogni isola, c’è un punto in cui si può contemplare il Vesper: e sebbene accada ogni sera nello stesso modo, c’è sempre un gruppo di persone che accorrono ad assistere, attonite e magnetizzate, a un fenomeno che appare misterioso e nuovo nello stesso tempo
Sulla cima della torre di San Vittorio, a Carloforte, Isola san Pietro, risalente al XVIII secolo, è stato costruito nell’anno 1900 un piccolo osservatorio astronomico, oggi in abbandono. Salendo su questa cima al Vesper la vista panoramica si colora di rosso offrendo all’occhio attento un riassunto spazio-temporale di molte delle distanze possibili sul pianeta terra. Il mare che circonda la terra (liquido/solido), la collina verde che fa da bastione all’agglomerato di case (natura/cultura), i piloni di un vecchio campo sportivo a vegliare sulle tracce di una antica necropoli punica e poi romana (presente/passato, dominatori e dominati) e la stessa struttura massiccia e pietrosa della torre (a inevitabile modello degli antichi nuraghi trilobati) a sostenere l’esigua cupoletta astronomica (passato/futuro, terra/cielo).
In quel punto casuale della geografia e della storia si incontrano e si divaricano culture: la cultura della sopraffazione e del dominio, della costruzione e dell’insediamento, e la verginità della preistoria.
Il Vesper riassume, copre, sigilla: agita le differenze confondendo le carte tra il sonno e la veglia, tra la consapevolezza dell’homo sapiens e le visioni di Ulisse, l’eterno viaggiatore in cerca di un ritorno costantemente rinviato, ovvero ritardato, spostato sempre un po’ più avanti verso la sera che copre, ma insieme verso il domani che apre e che rivela.
14 agosto 2022