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FASCISMO IN CHE SENSO?

Si può parlare ancora attivamente di dissenso al fascismo, oggi? Intendo il fascismo storico delle camicie nere e degli squadristi, quello di Mussolini che pontificava dal balcone o dalla radio e riempiva le piazze, il fascismo delle leggi razziali e dell’entrata in guerra…? Ci insegna ancora qualcosa l’approfondimento di quel capitolo della nostra storia?

Sembrerebbe di sì, se ci sono studiosi che storicamente ne affrontano tutte le implicazioni. Il libro Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si ribellarono a Mussolini 1925 – 1943 di Mario Avagliano e Marco Palmieri edito da Il Mulino circoscrive la ricerca in quei diciotto anni cruciali nella storia del nostro paese. E’ stato presentato ieri a Roma al caffè Satyrus alle Belle Arti, grazie all’impegno di Annamaria Barbato Ricci, con la partecipazione di Marco Tarquinio già direttore di Avvenire, e di Serena Colonna segretaria ANPPIA, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti. Sul sito di questa associazione è presentata una “cronologia antifascista”, che fa partire la ricerca un po’ prima e la conclude un po’ dopo rispetto allo studio di Avagliano e Palmieri, ovvero dal 1922 fino al 1945. Sempre di un periodo storico ben circoscritto si tratta.

Serena Colonna è sufficientemente giovane per indurci a pensare che parli del fascismo esclusivamente da studiosa. O invece per  esperienza, anche se evidentemente indiretta, essendo magari figlia o nipote di qualche perseguitato politico. Ha opportunamente introdotto il clima di caccia alle streghe che caratterizzò il famoso ventennio.

La lettura di alcuni passi del libro da parte di Sergio Nicolai ha aggiunto brivido alla ricostruzione storica, particolarmente quando l’attore ha dato voce alla lettera che nel 1923 Sandro Pertini indirizzò indignato dal carcere di Pianosa alla madre, che aveva osato chiedere per lui la grazia:

“Mamma,

con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato, che tu hai presentato domanda di grazia per me.

(…) Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. (…)

E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà.”

Toni appassionati di altri tempi, che, insieme alla reiterata parola “fede” e nella cornice delle considerazioni politiche del caso ci scaraventano di fronte a due domande.

La prima: i giovani italiani di oggi sarebbero ancora capaci di tanto coraggio, di tanta coerenza, di tanta… fede? Anche invasi e oppressi per esempio come gli ucraini, metterebbero a rischio la loro vita con altrettanta baldanza?

La seconda: che cosa significa “fascismo” oggi? E’ solo un  capitolo ben circoscritto della storia passata e uno spunto di approfondimento e ricerca (vedi sopra) oppure è un fantasma che ancora spaventa? E nel caso perché spaventa? Che vizi nasconde del nostro tempo, quali fragilità rivela, quali tabù evoca?

Direttamente non so nulla di fascismo, se non i racconti dei nonni e dei genitori. Esperienze riportate che mi appaiono un capitolo remoto e concluso della nostra storia. Al contrario, in via direttissima ho sperimentato negli anni della contestazione i nervi scoperti che la sola parola fascismo andava a toccare ancora trent’anni dopo piazzale Loreto. E vedo che i nervi restano scoperti ancora oggi. Come se quella storia non fosse mai conclusa. Diversamente che senso avrebbe una associazione come ANPPIA? C’è qualcosa di sinistramente attuale e non risolto in quel capitolo di storia. Come se la parola “fascismo” fosse diventata la sintesi di tutte le intolleranze della terra.

Se ne capiscono le ragioni: all’epoca le camicie nere usavano metodi espliciti, diretti, plateali, teatrali, inequivocabili. Non c’erano dubbi – dalle purghe al confino al carcere – su che cosa rischiava chi si opponeva. C’era però in questo meccanismo qualcosa di ingenuo e insieme di grottescamente onesto: l’oppressore si faceva riconoscere per quello che era, faccia a faccia. “Fascista” era ed è chi perseguita apertamente e violentemente il non allineato.

Ma questa tragica esperienza è ancora attuale? Suggerisce ancora qualcosa al nostro paese? O le modalità persecutorie del nostro tempo sono talmente stravolte e drammaticamente “aggiornate” da rendere archiviabile non solo il ventennio ma, purtroppo, anche tutti i volenterosi studi su di esso?

A fronte delle nuove tecnologie, dei sofisticati sistemi di controllo, dell’onnipresenza del Grande Fratello che calpesta qualsiasi diritto alla privacy, che cosa può ancora insegnarci la Storia? E’ ancora magistra vitae?

Gli studi storici sul fascismo storico suggeriscono forse che in fondo ne abbiamo nostalgia. Ci manca un potere schiacciante ma in qualche modo trasparente nelle sue bieche intenzioni, nei suoi metodi brutali e nelle sue efferatezze. Ci manca un nemico riconoscibile, dal volto perverso ma aperto.

Sappiamo, nel fondo della coscienza, che il fascismo di oggi non è altrettanto individuabile e che è questa la sua maggiore, diabolica perversione: farci credere che non esiste. Così, non potendo difenderci da un oppressore mimetizzato ma altrettanto pervasivo, preferiamo non vederlo. Ci concentriamo sui fantasmi del passato illudendoci che sia sufficiente a esercitare la nostra “fede”, il nostro anelito libertario. Non è così. Nei nostri tempi, la storia non basta più a insegnarci qualcosa. Le approfondite ricostruzioni e gli impegni delle associazioni “storiche” vanno prese dunque per quello che sono: meritevoli sguardi sul passato che non possono però attrezzarci di fronte agli invisibili orrori del presente, spesso mascherati da buone intenzioni. “Se danzi col diavolo, il diavolo non cambia. E’ il diavolo che cambia te”.

 

8 giugno 2023

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