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IL PUNTO PIU’ LONTANO

Tutti nella nostra vita abbiamo apprezzato, amato, idolatrato un attore o un’attrice. Chi più chi meno. Perché era affascinante, perché incarnava un modello di vita, perché era un mito, perché interpretava un personaggio nel quale ci immedesimavamo. Perché ci ha fatto ridere o perché ci ha fatto piangere… O perché magari ci ha fatto ridere e ci ha fatto piangere nello stesso momento.

Io, gli attori e le attrici li amo tutti. Gli attori e le attrici veri, beninteso. E non penso necessariamente a divi universalmente acclamati. Penso anche agli eccellenti caratteristi, ai doppiatori che lavorano nell’ombra, ai gregari delle star, ai giovani che calcano le scene delle accademie, agli animatori delle filodrammatiche, agli attori che sono anche insegnanti, a quelli che anche a cinquant’ anni non smettono di crederci e fanno provini, agli attori registi con la testa piena di idee, agli attori-figli-di-attori, dei quali hanno ereditato, a  volte con tanto timore e tremore, passione e mestiere…  E quelli che non ci sono più, che stanno allestendo chissà dove il loro spettacolo più bello.

Il mio innamoramento ha avuto due fasi: la prima da spettatrice di teatro, cinema, televisione, la seconda da professionista che ha lavorato nella prosa radiofonica, quando me li sono gustati “dietro le quinte”, durante le prove delle loro performances e ho apprezzato la loro serietà, la loro passione, la loro dedizione, anche la loro umiltà. Tanto più in uno spazio, come quello radiofonico, dove di loro non appariva che la voce. Così poco eppure così tanto.

Il vero attore dispone di un grande potere e insieme è spesso vittima di una grande fragilità. Spesso, non sempre. Il potere sta nella sua forza di seduzione e di incantamento; la fragilità nelle infinte nevrosi, paure, insicurezze, in certe sue fissazioni, nei rituali… Di loro mi piace proprio questa vita funambola, sempre in equilibrio tra esaltazione e caduta, sempre sul filo di una tentazione: credere definitivamente al proprio personaggio oppure perdersi, dimenticare se stesso.

A volte in loro questa tentazione affiora, a volte invece affiora il divertimento puro e innocente del mestiere, il ritorno al gioco dei mascheramenti infantili, quando da bambini ci truccavamo per Carnevale o indossavamo gli abiti di mamma e papà.

Soprattutto amo quegli attori che, pur dotati di immenso carisma, di una voce riconoscibile, di tratti somatici inconfondibili, riescono a scomparire dentro il loro personaggio e a veicolare un’emozione, a incarnare una storia. In questo riconosco loro una missione praticamente sacerdotale, ovvero di mediazione fra la vita di tutti i giorni e un regno totalmente “altro”. Pontefici: facitori di ponti.

Però io non cerco complici di una fuga dalla realtà. Semmai complici di una più profonda comprensione della realtà. I veri attori mi traghettano dentro quelle emozioni che sono mie, ma che scientemente e colpevolmente evito di provare, che lascio nel dimenticatoio, che quotidianamente rinnego in quanto sempre presa da altro, il cosiddetto urgente, il cosiddetto essenziale, le cosiddette questioni serie.

Ma quali sono le questioni serie? Dov’è l’essenziale? Forse proprio e solo su un palco o su un set: dove tutto è finto ma niente è falso, come ha detto qualcuno, come ben sapeva Pirandello.

Ringrazio i miei amici attori, e anche tutti gli attori che conosco solo da spettatrice, che nonostante le loro debolezze, la loro giusta quota di narcisismo, i loro magici trucchi e trucchetti, riescono a riportarmi  nel punto più lontano e più vicino del mondo: me stessa. Per ricordarmi chi sono, chi dovrei essere, che cosa posso diventare.

 

22 settembre 2023

 

 

Ieri sera al Baja, Roma

 

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