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LA RADIO: VIETATO RIMPIANGERLA

Per ascoltare invece di leggere:

Leggo su FB le riflessioni del collega Antonino D’Anna di Radio Libertà, sul licenziamento di Silvia Annicchiarico da RTL in quanto considerata “vecchia”. E vorrei apertamente, dialetticamente contraddirlo.

Scrive Antonino (che ha anche la bontà di citarmi):

“L’elemento della radio è uno e uno solo: la parola, trasportata dalla voce. Io sono una voce, del corpo non so che farmene e la radiovisione alla fine è solo contorno. La radio, per quello che sta facendo pulizie in casa, per chi zappa il terreno, viaggia sull’autostrada o in treno, è la voce. E come dice la collega (e amica) Laura De Luca, la radio è francescana. Lei voleva essere una voce e ci è riuscita, io ci provo ogni giorno. Ma il concetto è: siamo impulsi sonori che viaggiano nell’aria, e come tali non abbiamo età. Siamo come gli angeli: incorporei, direi senza sesso. E la radio ci porta grazie alle sue magiche magiche magiche onde, sfidando ognuno di noi a riempire un vuoto enorme, grande quanto la portata dell’antenna.

Dire ad una persona che fa radio da tanto tempo che la sua voce è vecchia vuol dire confondere la radio con qualcos’ altro”.

Pur condividendo al cento per cento l’entusiasmo di Antonino D’Anna per la fascinazione e la “spiritualità” delle voci, lo vorrei un po’ frenare. Senza un corpo, non potremmo parlare, senza la fisicità delle corde vocali saremmo muti, così come senza una cassa di risonanza di legno una chitarra non suonerebbe. E questo è fin troppo ovvio. Capisco bene che Antonino voleva portare alle estreme, paradossali conseguenze il suo entusiasmo per lo strumento principale (anche se non l’unico) della radiofonia. Io stessa quando ho scritto “volevo essere solo una voce” ho giocato sul medesimo paradosso. Ma le nostre voci sono tutto meno che angeliche, asessuate o senza età.  Sono incisive e affascinanti (quando lo sono) per l’esatto contrario. Anche se nel momento in cui parliamo o ascoltiamo altre voci non ne siamo consapevoli, in realtà ne godiamo, ce ne facciamo convincere, affascinare o irritare proprio in forza della loro fisicità, della loro provenienza da un corpo. Lo prova il fatto che, ascoltando una voce alla radio o al telefono senza conoscerne il proprietario, istintivamente ce lo raffiguriamo, gli diamo un corpo, eccome! Esistono così voci grasse e voci magre, voci coi baffi e voci glabre, voci abbronzate e voci pallide etc. E, purtroppo per tutti noi (non solo per la bravissima Silvia Annichiarico) ci sono voci giovani e voci vecchie, bisogna farsene una ragione. Riconoscere che una voce è invecchiata non dovrebbe risultare offensivo: a un’attrice matura infatti nessuno si sognerebbe più di proporre la parte di Giulietta.

Altro discorso invece quello che emerge nella seconda parte del post di Antonino D’Anna. Ma anche in questo caso avrei le mie obiezioni. Antonino esprime il suo dissenso verso la volontà, presente nella direzione di molti emittenti radiofoniche, di “imporre un nuovo modello che tra non molto sarà sostituito a costo zero dall’AI: un instrumentum vocale che disannuncia un disco e ne annuncia un altro condendolo con una banalità sul tempo, il sesso o la curiosità del momento. Ma nell’antica Roma instrumentum vocale era lo schiavo: e questa cosa qua è fare arredamento sonoro, trasformare un meraviglioso e velocissimo mezzo di comunicazione ed espressione in una cosa accostabile ad un armadietto della cucina”.

Fermo restando che vanno accettate le scelte stilistiche di un’emittente, se preferisce voci giovani a voci vecchie, vorrei provare a spostare la protesta di Antonino D’Anna su un più giusto obbiettivo.

Ho lavorato così tanto alla radio e ho studiato così tanto questo medium, da convincermi che oramai questa radio di cui molti di noi hanno nostalgia, non esiste più. Anche la radio è invecchiata, se vogliamo. O, per meglio dire, si è evoluta, trasformata, adattata ai tempi nostri. Quella di cui abbiamo nostalgia è la radio autorevole (“l’ha detto la radio”), analoga alla sua fisicità di monumentale apparecchio che troneggiava nei salotti e riuniva la famiglia alla sera nell’ascolto di notizie dai fronti di guerra, concerti o radiodrammi (ruolo poi assunto dalla televisione). Ma la tecnologia ci ha portato e ci sta portando altrove, ha plasmato le nostre abitudini, ha desacralizzato tante esperienze, ci ha smembrati come comunità, ci ha isolati ciascuno di fronte al proprio pc o attaccato al proprio smartphone. E’ un fatto. La radio è diventata le radio. E le radio sono diventate o stanno sempre più diventando le persone stesse…Ciascuna ascoltatrice e emittente, pubblico e direzione editoriale. A che serve più progettare ragionati e articolati palinsesti se ciascuno, nella sua solitudine, può ascoltarsi quello che vuole e quando vuole? Viva i podcast!

Dunque mettiamo meglio a fuoco la nostra nostalgia. Non ci manca la radio, ci manca l’autorevolezza di qualcuno o di qualcosa che sia capace di tenerci uniti a condividere una stessa emozione, uno stesso valore, una stessa idea… Potrei dire le stesse cose anche per la televisione, per il teatro, il cinema etc. In un mondo di monadi, a che serve rimpiangere quell’aedo invisibile che ci rendeva comunità, popolo, nazione?

C’è un risvolto positivo però: in questa frantumazione di prodotti, anche una voce “vecchia” avrà diritto di cittadinanza, nonostante il licenziamento compiuto da una direzione ottusa e calcolatrice. Silvia Annichiarico e tanti altri come lei, potranno con poco sforzo, sostenuti da quella stessa tecnologia che ancora sembra uccidere i vecchi modelli di comunicazione, continuare a viaggiare nell’etere per conto proprio. Come sto facendo io. Viva i podcast! Monade per monade. A fronte di tanti che ascoltano da soli, ci sono tanti che possono parlare liberamente da soli, senza bisogno di aziende che li sostengano, li producano, li sponsorizzino o non li licenzino.

Come sto facendo io in questo momento: frammenti di radio. E’ la Babele contemporanea, tant’è. Bisogna rispondere al presente col presente, o almeno provarci. Lo diceva anche Shakespeare:

Un Angelo per Claudio, morte per morte
Tregua per tregua, premura per premura;

Simile per simile, misura per misura…

 A proposito: com’è la mia voce? Giovane o vecchia???

15 gennaio 2024

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