Tutti celebriamo l’amore, anche se l’amore nessuno sa cos’è, come scrive nel suo splendido romanzo Manuel Vilas In ogni cosa c’è stata bellezza. E forse tutti lo cantiamo e lo celebriamo proprio per questo, per compensare la frustrazione di non poterlo definire. A volte, non riuscendo a fare del tutto nostro/a colui o colei che amiamo, cerchiamo in compenso di afferrare il sentimento che ci lega.
La stessa sorte toccò probabilmente a William Shakespeare, che dedicò ben 154 Sonetti all’oggetto del suo amore. Da ragazza, in quell’età in cui si ha bisogno più che mai di afferrare l’amore e di definirlo, mi misi a leggere queste composizioni nella traduzione di Giorgio Melchiori e Alberto Rossi. Non ci capii nulla o quasi, mi sembrarono fredde e tortuose elucubrazioni di un dotto di troppi secoli fa, anche un po’ invasato. Molti anni dopo, grazie a una catena di fatti e di incontri, mi riavvicinai al delicato mistero di questa raccolta, imbattendomi in gustose e accattivanti traduzioni molto più orecchiabili, anche se tendenzialmente infedeli. Tanto è bastato per folgorarmi e lasciarmi finalmente sedurre dall’eternità del canto d’amore shakespeariano, portandomi ad avviare un percorso di approfondimento e appropriazione. Ho riadattato in endecasillabi le versioni originali e illustrato i 154 Sonetti con altrettanti acquerelli a mezza tinta (qualche anticipazione qui): ripercorrere le profondità, le bizzarrie, gli eccessi e le delicatezze di un sentimento senza tempo comporta fare propria tutta questa materia incandescente e in parte ricrearla, con tutti gli artifici, le sovrapposizioni, le contaminazioni e i linguaggi disponibili.
Al di là delle infinite sfumature che Shakespeare esplora e tratteggia del sentimento che lo lega al suo amato, ha finito soprattutto per colpirmi lo struggente scompenso dell’ amore tra una persona matura e un giovane di sfuggente bellezza, tra la consapevolezza del primo di fronte alla fugacità del tempo e l’ignara leggerezza dell’altro, preso solo dall’incoscienza del vivere e da un apparentemente vacuo e arido narcisismo.
Di qui una amara riflessione: ogni amore è scompensato, e non solo per la banale verità che c’è sempre chi ama di più e chi ama di meno (ammesso che abbia un senso il bilancio dare/avere in affari di cuore) , ma perché proprio nella fatale asimmetria del sentire, nell’equivoco latente che è sotteso a qualsiasi incontro umano si gioca forse la partita più affascinante del pianeta terra. E’ proprio il rischio costante del fraintendimento, l’instabilità stessa del linguaggio a incoraggiarci all’incontro. Babele insegna. E’ la sfida inespressa di riuscire a varcare quell’impalpabile muro di diffidenze e differenze reciproche a muoverci verso la comunicazione e anche oltre. “L’unica cosa che esiste è un’altra cosa”, diceva Lorenzo Ostuni, amico di un mio amico: analogamente l’altro sta sempre altrove, è sempre un altro qualcuno, per quanto ci attragga e scateni il nostro desiderio. E noi siamo sempre altri , per gli altri. Condannati a questa continua ritaratura della nostra posizione esistenziale, a ricentrare costantemente i rispettivi bersagli per poterci riconoscere e momentaneamente afferrare, esprimiamo in questo modo il paradosso della nostra fragilità e insieme della nostra grandezza.
Di qui la nostra universale necessità di cantare il sentimento, con tutti i mezzi a disposizione. Nel mio caso, anche il ricorso all’immagine mi ha illuso di poter partecipare non solo in veste di voyeur a un amore di oltre quattrocento anni fa, ma anche in quanto complice attiva di Shakespeare (casomai ne avesse ancora bisogno!) nel suo proposito di salvaguardare dallo scorrere del tempo la bellezza del suo ragazzo. Che io ho immaginato così: sensuale e insieme innocente (perché la sensualità è sempre innocente). Ho avuto però con me una schiera di altri importanti complici. I “miei” sonetti shakespeariani saranno rieditati nei prossimi mesi da Armando Editore in un progetto trasversale e nelle intenzioni innovativo: il libro illustrato sarà anche un libro parlante. Tramite la tecnologia dei QR code, sfogliando il volume, si potranno ascoltare i 154 componimenti nella interpretazione di oltre cinquanta generosi e prestigiosi attori. Italiani e non solo. Cui va il mio caloroso grazie per la partecipazione a quest’opera così complessa e stupendamente corale. Non mancheranno i contributi musicali e neppure l’affaccio nel mondo degli NFT e del metaverso. Per dare ragione a Shakespeare quando scriveva: “Tuo monumento saranno i miei versi/ che occhi ancor non nati leggeranno/ Parleranno di te lingue future/ quando chi oggi respira sarà spento.” Ma questa è ancora un’altra storia.
13 settembre 2022