Tutti abbiamo sentito almeno una volta l’espressione “società liquida”, parto della mente del filosofo polacco Zygmunt Bauman, di famiglia ebraica. E sperimentiamo ogni giorno che cosa significhi liquidità, nel bene e nel male: politici ondivaghi e voltagabbana, sessi incerti e interscambiabili, mancanza di punti fermi, orrore per le verità rivelate, relativismo diffuso, il principio di indeterminatezza assurto a regola di vita, melting pot e globalizzazione indiscriminata.
Seguendo ieri un convegno alla Lumsa di Roma dedicato a Karl Popper in occasione del 120° anniversario dalla nascita, credo che la sua teorizzazione sulla “società aperta” possa essere in qualche modo definita come l’antesignana della società liquida.
Non a caso anche Popper era ebreo come Bauman, ma viennese, anche se poi aveva scelto il Regno Unito come sua patria d’elezione. E forse nello stesso destino del popolo eletto c’è qualcosa di liquido e certamente molto di aperto: la particolarità della diaspora, la disponibilità al mescolamento con altri popoli e tradizioni e all’adattamento culturale non può non avere inciso sulle intuizioni dei due pensatori, distanziati anagraficamente solo di una generazione, essendo nati Popper nel 1902 e Bauman nel 1925.
Non ho osato chiedere ai relatori partecipanti al convegno di ieri conferma di questo mio pensiero circa la possibile parentela fra società liquida e società aperta. Temo un po’ i tecnicismi dei filosofi, specie quando parlano di altri filosofi più che di idee. Erano del resto fior di pensatori che hanno magnificamente sviscerato le contaminazioni di Popper con varie correnti del Novecento: tra questi Dario Antiseri, Vittorio Possenti, Rocco Pezzimenti, Marcello Pera… Hanno soprattutto bene illustrato l’inedito passaggio, nel pensiero di Popper, dalla filosofia della scienza alla interpretazione dei fatti storici e sociali. Secondo la sua visione, che rifiutava qualsiasi dogmatismo e aveva in antipatia anche il positivismo, la scienza non può dimenticare l’incombere di un ampio margine di errore, dunque il ricercatore deve sempre considerare le proprie conclusioni come ipotetiche e provvisorie, suscettibili di successiva revisione: di qui il cosiddetto fallibilismo. Un metodo perfetto per interpretare anche l’evoluzione della storia, alla faccia della assoluta fiducia “teleologica” espressa per esempio dalla dialettica hegeliana o dalla pretesa marxista di sapere tutto. E del resto, Popper testimoniò direttamente i più feroci totalitarismi del Novecento, spesso basati sulle più rosee promesse e sulle più ottimistiche previsioni circa il futuro, che però avevano il chiaro scopo di strumentalizzare le speranze delle masse. Non essendo invece il futuro prevedibile, essendo ogni previsione fallibile, non resta che accettare la mancanza di un destino prefissato e disporsi a leggere, nonché a costruire la storia, esclusivamente sulla base della libertà e dell’iniziativa umana, ogni volta sottoposta a variabili per definizione imprevedibili. Alla base del liberalismo contemporaneo, questa visione invita implicitamente ciascuno di noi a non sentirsi possessore esclusivo di alcuna verità rivelata, ma di cercarla pazientemente insieme agli altri, appunto in reciproca apertura e disponibilità.
Guardandoci intorno, penso di poter concludere che la descrizione di Popper fosse alquanto ideale e sua volta ottimistica: l’impegno individuale è diventato individualismo sfrenato, l’apertura verso gli altri si è virtualizzata, dissolvendosi oggi nel metaverso… E così, dopo il fallimento del nazismo e del marxismo, assistiamo oggi, forse per ragioni contrarie e uguali, al fallimento dello stesso liberalismo.
Con una postilla: nemmeno Popper sembra abbia potuto fare a meno di confrontarsi con la detestata metafisica, ovvero con il bisogno, inespresso, ritornante, ineliminabile di verità certe, di punti fermi. I tentativi operati in passato da Nietzsche, Heidegger, Severino rappresentano proprio il promemoria che, al fondo, l’uomo sembra manifestare, più che bisogno di apertura, l’opposto desiderio di un involucro, lo si chiami Essere o Stato o Dio: pareti certe che definiscano un valore in cui riconoscersi oppure da contrastare e da cui magari potersi liberare.
Questioni davvero aperte, come recita il sottotitolo del volume di contributi di autori vari presentato ieri in occasione del convegno, dal titolo Popper. Una questione aperta, edito per la stessa Lumsa da Armando Editore. Casa editrice, come ha ricordato il suo direttore Enrico Iacometti al termine del convegno, definita da Livio Garzanti “la casa di Popper”, per il grande interesse mostrato da sempre per le continue ristampe dei suoi testi, ancora oggi riccamente presenti nel suo catalogo.
29 settembre 2022