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NON C’E’ PIU’ RELIGIONE – 2

Invece c’era un tempo in cui di religione ce n’era tanta, forse troppa, anche distorta, snaturata, usata perfino come arma. E c’era tanta più religione quanto più i popoli erano oppressi. La religione come liberazione interiore, compensazione a tante sofferenze, violenze, miseria, privazioni. Qualcuno parlò invece di oppio dei popoli. E così, all’inizo del secolo scorso, la dittatura del socialismo realizzato cominciò opera di disintossicazione, chiudendo luoghi di culto ed abbattendo sistematicamente croci e simboli. In nome della liberazione del proletariato da qualsiasi condizionamento.

Se non che questa liberazione è diventata paradossalmente obbligatoria. Così come esistono i lavori forzati, ha cominciato ad esistere la libertà forzata. Libertà dai vincoli del credo, di ogni credo. Ma una libertà forzata è ancora una libertà? E così, nel regno del socialismo reale fu attuata la più sistemantica persecuzione contro la libertà di culto, in nome della libertà da ogni culto. (Tranne che dal culto dello stesso socialismo realizzato: imamgini di santi e crocifissi furono sostituite con manifesti e statue di Lenin e Stalin).

Credere in qualcuno, sia l’anima del vento o lo spirito della luna, sia una pletora di dei o il nostro Dio incarnato è l’atto più privato  che possa comipiersi nel segreto di una coscienza. C’è uno spazio in cui nessun amante, fratello, intimo amico può entrare, tanto meno una struttura elefantiaca come un’amministraizone statale, o una più subdola realtà come l’attuale demitizzante mainstream culturale. Come è stato possibile che una forma-stato abbia preteso di insinuarsi nell’intimo delle coscienze? Passi sconsacrare le chiese per farne granai. Ma in nome di che cosa sconsacrare un’anima? Come è stato possible che una dittatura abbia presunto di poter imporre agli individui di non credere più a nulla? Stupidità del potere, di ogni potere. Qualcuno ha detto che non esiste carcere tanto duro da poter imprigionare una coscienza: anche nella prigione più profonda continuerò ad essere libero, me stesso. E’ vero anche il contrario: non sarò mai abbastanza libero da non continuare a sentirmi nella prigione di me stesso, della mia casa, delle mie relazioni, del mio paese, di questo mondo.

Su questo sottilissimo crinale si gioca la partita fra l’uomo e Dio. Una faccenda privatissima, che grazie al Cristianesimo, ha rivelato all’uomo non solo la portata sacra di ogni coscienza, ma anche la sua capacità di amare, di porsi alla pari, con rispetto, libertà e devozione, di fronte a un’altra coscienza. Territorio inavvicinabile da qualsiasi potere. Eppure, per settant’anni, ci sono stati regimi su questa terra che hanno osato stupidamente stuprare questa privatezza inviolabile.

Nei primi anni novanta, allo sgretolarsi della cortina di ferro, incontrai un sacerdote albanese appena fuoriuscito dal suo paese, che aveva conosciuto le prigioni di stato, e che riferiva alla stampa delle follie compiute dal regime di Enver Hoxa, il regime più ateo del mondo. Agenti della Sigurimi, la polizia segreta albanese, non avevano avuto di meglio da fare, per decenni, che sequestrare casa per casa crocifissi e immagini sacre: ogni abitazione doveva essere epurata da qualsivoglia traccia di religiosità. Una manipolo di questi agenti arrivò un giorno fino alla stamberga di una vecchia, in cima a una montagna. E fecero il loro dovere, strappando via tutte le croci di cui quella casupola era tappezzata. Ma la vecchia li richiamò sulla porta:

-Ve ne siete dimenticata una.

-Quale?

-Questa.

E si segnò. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Anche trascinata in qualche segreta di stato, la vecchia si portò dietro quella croce, evidentemente. Quanto avranno impiegato agenti e funzionari di stato per capire di avere combattuto una battaglia folle e di averla anche persa?

 

20 luglio 2022

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