Per ascoltare invece di leggere:
La recente, gradita visita di papa Leone agli impianti di Santa Maria di Galeria, ha riportato di attualità la nostra “povera” Radio Vaticana, da sempre tanto chiacchierata per le elevate spese che comporta la manutenzione e l’aggiornamento di apparati tecnici importanti e, in anni più recenti, smembrata e ridotta quasi al silenzio dalla più che energica riforma della comunicazione vaticana voluta da papa Bergoglio.
La visita di papa Leone ha restituito diritto di cittadinanza a quel pacato e diffuso senso di nostalgico orgoglio per ciò che questa radio ha rappresentato negli anni, anche grazie al nostro lavoro di tecnici e redattori.
E’ uno dei motivi per cui pochi giorni fa sono tornata in visita, nel cuore dei giardini, al Museo storico della Radio Vaticana, ideato e fondato nel 1995 da Alido Brinzaglia (foto in alto).
Anche le mura di questo Museo sono … un museo, visto che Guglielmo Marconi fondò, strutturò e inaugurò la Radio proprio in questa palazzina, per volere di papa Pio XI, tra il 1929 e il 1931. La palazzina della trasmittente vaticana, come la chiamavano originariamente i nostri tecnici, è diventata così nel 1995 “palazzina Marconi”.
Alido Brinzaglia era responsabile della logistica di un’altra importante sede della Radio all’interno dei Giardini: la palazzina Leone XIII, a due passi dalla “trasmittente”. Facendo spesso la spola per ragioni di servizio tra l’una e l’altra sede, Brinzaglia si accorse della quantità di reperti ammucchiati e dimenticati nei locali della sede storica. Propose così alla direzione di raccoglierli e ordinarli: ecco come trent’anni fa nacque questo piccolo-grande museo dove gli oggetti della tecnologia raccontano la grande storia.
Quali oggetti? Per esempio il microfono del primo discorso on air di Pio XI, antichissimi macchinari di registrazione su disco, fonografi, enormi bobine, le “proto- telescriventi”, registratori su filo, su nastro, i pesantissimi registratori portatili Nagra… Un passato che all’epoca era futuro. Alido ha amato questi oggetti, uno per uno. La sua competenza tecnica lo ha aiutato a riconoscerne la funzione, a provare quasi gratitudine per ciascuno di essi. Oggi di questo patrimonio sono custodi Giorgio Patassini insieme a Paolo Folco (foto in basso): accanto all’esperienza storico-tecnica con cui i due colleghi illustrano ai visitatori i vari pezzi, emerge, tra una marea di aneddoti sulla storia ormai quasi centenaria di questa radio, la consapevolezza che dietro alle macchine ci sono sempre state, e ci sono ancora e sempre, le persone.
Un museo tecnologico è davvero un museo sui generis: testimonia l’evoluzione di scoperte e invenzioni, e la rapidità con cui ciò che poco tempo fa sembrava avveniristico oggi ci intenerisce per la sua ingenua vetustà, per la patina di polvere che sembra avvolgerlo. E’ una questione anche di design e di dimensioni. I grandi trasmettitori marconiani, ingombranti come armadi, con al loro interno camere di raffreddamento e intrichi di tubature incutono soggezione, evocano centrali nucleari d’oltre cortina. E invece portavano oltre cortina le voci dei papi, messaggi di pace… I voluminosi registratori a filo richiedevano custodie grandi come frigoriferi e austere come comò, oltre a produrre enormi bobine, ma la fedeltà alle voci registrate era chirurgica e cristallina.
Oggi possiamo registrare nel nulla e su nulla tramite dispositivi che teniamo in una tasca. Virtualità e dimensioni sempre più piccole cambieranno forse, in futuro, l’aspetto e l’assetto di musei come questo: gli oggetti della comunicazione saranno sempre meno oggetti, sempre più dispositivi immateriali, strumenti virtuali.
Per questo i reperti più importanti resteranno comunque gli uomini e le loro storie, anche nel testimoniare evoluzioni e cambiamenti necessari quanto faticosi…
Penso alle lacrime dell’ingegnere che aveva contribuito a innalzare uno dei più vistosi tralicci nei giardini vaticani cui fu chiesto recentemente di smantellarlo. “Ma siete proprio sicuri?”. Ahilui glielo confermarono. Penso all’incidente capitato a Giorgio Patassini, che si ustionò un braccio sotto l’arco voltaico di uno dei trasmettitori per illustrarne il funzionamento a qualche visitatore. E penso anche a tutti i nostri colleghi che, nonostante la cura e l’attenzione dell’allora Direzione tecnica per garantire la sicurezza del posto di lavoro, sono incorsi in infortuni più o meno gravi…
Penso ai ricordi di Elisabetta Pozzoli, segretaria del centro di santa Maria di Galeria, che rimpiange i rapporti di trasmissione provenienti dai più sperduti paesi del mondo, dove durante la guerra fredda l’unica voce di libertà era proprio quella della Radio Vaticana, grazie alla quale le persone si sentivano un po’ meno sole e meno prigioniere solo ascoltando in diretta una Messa o la recita di un Rosario. Penso ai ricordi di colleghi anziani che ancora qualche anno fa ricordavano le centinaia di persone incolonnate davanti alla “trasmittente” in cerca di contatti con i loro parenti al fronte durante la seconda guerra mondiale grazie all’apposito ufficio di ricerca delle persone disperse voluto da Papa Pio XII.
E penso soprattutto alla sensibilità attenta di Alido per questa sua creatura, nonché alla disponibilità dei direttori di allora, cui va il ringraziamento di tutti noi.
Il Museo della Radio Vaticana raccoglie così una collezione di oggetti ma soprattutto un campionario di vicende umane che raccontano la Storia da un punto di vista indubbiamente singolare. Tutti noi abbiamo testimoniato che, letti e annunciati da quel colle, attraverso quegli oggetti così preziosi e rispettosamente manovrati, gli eventi di cronaca, le vicende politiche, il magistero dei papi sono andati incontro al bisogno di ascolto e di consolazione di un’infinità di persone. “Abbiamo lavorato per il mondo” disse una volta il nostro tecnico alla consolle Roberto Colangeli. E la gratitudine di chi ascoltava ci è tornata indietro. La vediamo oggi nella mansueta consumazione di questi antichi strumenti che ci hanno permesso di superare enormi distanze, non soltanto geografiche. E’ la ragione per cui un museo come questo non è tanto una custodia del passato quanto un impegno per il futuro.
28 giugno 2025