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QUARANTACINQUE ANNI FA

Quarantacinque anni fa l’Italia era ancora nella morsa degli anni di piombo. E quella mattina del 16 marzo 1978 fu in un certo senso il picco della montagna. Mattina slavata di quasi primavera, cielo bianco incerto, senza sole.

Nella mia stanza io battevo a macchina la prima bozza della mia tesi di laurea in filosofia. Mi sentivo così importante. Le teorie dello Stato, il socialismo reale, la dialettica negativa, Hegel, Marx, Adorno… Mi sembrava di avere capito tante cose.
All’improvviso, da fuori, quel rumore. Insolito, come un rotolare di oggetti metallici. Non avevo capito proprio niente invece. Abitavamo a due passi da via Fani, su via della Camilluccia..

Freno l’ansia, mi dico che l’autista del camion della nettezza urbana deve avere compiuto la solita manovra in modo un po’ troppo violento, stamattina. Non è successo niente, non è successo niente: continuo a pestare sui tasti della mia Olivetti lettera 46 come se niente fosse, ma adesso mi sembra di sentire una sgommata di pneumatici in un silenzio fermo e innaturale.

Un minuto e fa capolino mio padre, dal suo studio accanto alla mia stanza.

-Hai sentito?

Dunque non era una mia impressione. Ci affacciamo dal balcone. Un urlo di donna. Qualcuno che in via Fani sta fuggendo in su verso la via Trionfale. Tutto in pochissimi istanti.

Dal nostro punto di osservazione, di via Fani vediamo solo  un piccolo spicchio di asfalto, c’è una palazzina che ci copre la visuale. Per fortuna o per sfortuna, non lo so. Dunque ancora non capiamo che cosa è successo, ci interroghiamo l’un l’altro. Che è stato?

Hegel, Marx, Adorno non rispondono, mio padre accende la radio. Tre, quatto minuti e Cesare Palandri, conduttore del Giornale Radio del mattino, scandisce l’annuncio:

Gentili ascoltatori siete collegati con la redazione del GiErreDue per una drammatica notizia che ha dell’incredibile, e che, anche se non  ha trovato ancora conferma ufficiale, purtroppo sembra sia vera: il presidente della Democrazia Cristiana, onorevole Aldo Moro, è stato rapito poco fa da un commando di terroristi. L’inaudito, ripetiamo incredibile episodio è avvenuto davanti all’abitazione del parlamentare nella zona della  Camilluccia. I terroristi avrebbero sparato contro la scorta che accompagnava il presidente democristiano, avrebbero caricato a viva forza l’on Moro su una macchina e si sarebbero allontanati facendo perdere loro tracce. Non sappiamo altro, per il momento. Ci …ovviamente nel corso della mattinata ci … collegheremo altre volte, interromperemo ancora le … trasmissioni…  C’è da aggiungere che la scorta dell’onorevole democristiano era composta da cinque uomini. Sarebbero tutti morti. A risentirci più tardi.

Secco, preciso, distaccato ma non troppo, con l’emozione che sul finire dell’annuncio trapela a far tremare la voce, ad abbuiare il tono pimpante dell’inizio. C’è tutto, in quello scarno annuncio. Il disorientamento e il mestiere, lo sconcerto personale e la Storia che irrompe in quelle quattro parole, in mezzo alle canzonette e alla pubblicità di un detersivo.

Ancora pochi istanti e il silenzio ovattato di fuori viene stracciato dall’urlo di una sirena.

Erano bastati pochi istanti alla radio, per raccontarci che cosa era accaduto, mentre noi ancora non riuscivamo a capire, pur trovandoci a pochi metri. Così vicini, così lontani.

E nei pochi istanti successivi a quei primi, i miei libri di filosofia politica mi apparvero di colpo carta straccia. Le mie presunte conoscenze si rivelarono per quello che erano: teorie vuote. La brava ragazza che presumevo di essere, prossima alla laurea, si vide di colpo nello specchio di quella mattina livida: ero solo un’ingenua, mentre altri come me, all’incirca della mia età, certamente assassini, avevano comunque messo in gioco la propria vita, la propria libertà, il proprio futuro, per un sogno, per quanto folle e sbagliato fosse.

E intanto la radio: un posto sufficientemente vicino alla realtà dei fatti e sufficientemente lontano per raccontarli mediandoli. Forse fu allora, senza accorgermene, che incominciai a prendere le distanze dai libri che tanto mi avevano appassionata per scendere nelle strade dove le parole diventavano finalmente teorie incarnate, pensieri personificati e specchiati, scariche di mitra e lenzuola a coprire corpi, orrore, disincanto.

Forse fu quella mattina che la radio ultimò il suo richiamo seduttivo nei miei confronti già avviato tanti anni prima, quando mi accontentavo delle canzonette e delle futili confessioni delle casalinghe durante le dirette di “Chiamate Roma 3131” .

Fu anche allora che smisi di studiare musica. Qualcosa, dentro il mio orecchio, si era spezzato. Quella scarica di mitra confusa per un innocente rumore metallico, quell’urlo di donna e quella sirena mi fecero perdere il senso dell’equilibrio e dell’armonia. Chi ero? Dove andavo? E che cosa volevo dalla mia vita? Ancora favole o realtà vera?

Anni dopo sarei entrata io stessa dentro la radio, per ritrovarmi agente di mediazione della Storia, aspirante interprete di fatti. Un percorso non casuale. Lo avrei fatto da dentro quell’emittente particolare che era la Radio Vaticana, osservatorio privilegiato per guardare il mondo dall’alto e insieme da dentro: dalla cima di un colle ma anche dal fondo di anime in cerca di risposta.

E certamente il buco nero di quella livida mattina italiana di quarantacinque anni fa rimane intoccato come una ferita mai curata. Certamente nella desolazione di nessuna risposta.

 

16 marzo 2023

A quella particolare testimonianza dell’agguato di via Fani ho dedicato due libri Tutti bravi ragazzi e Purpurea la voce.

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