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SALTI, VOLI E SVIAMENTI

Per ascoltare invece di leggere:

Dice: oggi ti racconto un grande record sportivo, di salto in lungo: 8,90 alle Olmpiadi del Messico del 1968. E chi sei, Galeazzi, Gianni Brera, Martellini? No, ma io te lo racconto in teatro. In teatro? E ti ci faccio pure uno spettacolo. E chi sei? Gassman, Proietti, Petrolini? No, ma insomma quasi. Ma guarda che a me lo sport non interessa proprio… Fidati, ti interesserà.

Visto ieri sera al delizioso Teatrosophia a Roma L’uomo che volò oltre se stesso di Giuseppe Manfridi. Manfridi? Drammaturgo, dicono gli annali. “Fra i massimi italiani”. Io direi il drammaturgo, se vogliamo tornare all’etimologia del termine, che richiama non solo una generica parentela con il dramma, ma espressamente con l’azione drammatica. Manfridi infatti non si limita a scrivere pregevoli e originalissimi testi, ma li porta spesso in scena da sé, li agisce, da autentico mattatore, reggendo da solo la scena per non meno di un paio d’ore.   

In L’uomo che volò oltre se stesso, di cui attendiamo repliche quanto prima, la parola chiave potrebbe essere “sviamento”. Manfridi in realtà usa “devianza”, che etimologicamente è perfetta per il nostro caso, ma appena sporcata -e forse volutamente- da vaghe connotazioni “viziose”. Preferisco allora “sviamento”, termine decisivo tra l’altro per il filosofo Martin Heidegger, che introduce nel pensiero contemporaneo la fine dell’antropocentrismo: il soggetto pensante si lasci sviare dalla strada diritta della metafisica per aprirsi semplicemente all’essere, a ciò che è e che accade. Ed è precisamente quanto accade nel formidabile racconto di Manfridi, che ci fa digerire il miracoloso record olimpionico di Robert Beamon partendo da tutt’altro (dunque sviandoci a sua volta!) lasciandoci cioè credere che la scena si svolga altrove, nella vicenda di un tale, raccontata in una novella di Nathaniel Hawthorne, che, nella Londra di metà ottocento, lascia la moglie semplicemente per sparire trasferendosi in un residence di fronte a casa propria e tornarvi dopo vent’anni. Stanco di una vita monotona e solitaria, dunque il personaggio “salta oltre se stesso” e per vent’anni si guarda da un’altra prospettiva.

Ma come “si salta” dalla Londra di metà ottocento alla Città del Messico del 1968, dove ha luogo il record di Beamon? Lo spettacolo è proprio solo e precisamente in questo: nella raccolta di indizi, analogie, coincidenze o tessere di un puzzle, come le chiama Manfridi, che alla fine svelano il disegno integrale: spesso la deviazione dalla via principale -chiamiamola anche intuizione di un attimo – è decisiva perché qualcosa accada e meriti di essere raccontato. Jung parlerebbe di sincronicità o coincidenze significative, che Manfridi documenta in un appassionante viaggio colmo di citazioni letterarie, di riferimenti, ma anche di interazioni con il pubblico e di raffinate gag.

Non serve niente altro a questo tipo di teatro. Non servono effetti speciali, ricorsi a filmati, musiche o altre interazioni tecnologiche. Basta l’intelligenza di leggere le cose. Basta l’intelligenza. Preziosa però la scenografia-opera d’arte di Antonella Rebecchini e ovviamente la regia di Claudio Boccaccini.

La morale – solo per questo Manfridi andrebbe canonizzato con tutti gli onori – è: non stancarsi mai di raccontate storie. Il che comporta però scovarle, saperle leggere in mezzo alla rete di indizi che la realtà ci offre. Ma per questo non serve essere drammaturghi o scrittori, in teoria. Basterebbe coltivare l’attenzione, la curiosità, la partecipazione, la compresenza… E soprattutto ricordarci di essere insieme, per l’appunto saltando oltre noi stessi: è bello quando c’è uno che parla e almeno un altro che ascolta. Grazie, Manfridi!

 

20 maggio 2024

One thought on “SALTI, VOLI E SVIAMENTI

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